martedì 29 marzo 2016

Maso Montalto, Azienda Agricola Lunelli, 2007

Di Antonio Indovino

Trentino Pinot Nero DOC, Maso Montalto, Azienda Agricola Lunelli, 2007

Forte dell’esperienza enologica di tre generazioni,
negli anni ’80 la famiglia Lunelli sceglie di coltivare fino in fondo la passione per l’eccellenza vitivinicola affiancando ai successi conseguiti con il Trento DOC Ferrari una collezione di vini fermi di alta qualità, espressione di tre cantine in altrettante regioni italiane: Tenuta Margon in Trentino, Tenuta Podernovo in Toscana e Tenuta Castelbuono in Umbria.

ll Maso Montalto (nella Tenuta Margon) nasce in uno dei vigneti storici della famiglia, dominato da una parete rocciosa di oltre mille metri: ci racconta l’eleganza e la longevità del Pinot Nero, capace di leggere il territorio con profondità. 
Il merito è anche della filosofia del Gruppo che imposta il lavoro sul concetto base di viticoltura sostenibile di montagna.
Qui fra 350 e 600 metri di altitudine le forti escursioni termiche fra il giorno e la notte, unitamente ai suoli tendenzialmente argillosi, regalano le condizioni ideali per la produzione di vini dalla grande personalità.
Il sistema di allevamento è la classica pergola trentina, con una densità di 4500 ceppi/ha e rese 52 hl/ha.
La vinificazione avviene in piccole botti di rovere dove sosta per un anno, cui segue un'affinamento in bottiglia di 15 mesi.
 
Calice alla mano, rapisce lo sguardo per la sua trasparente veste granata, consistente e di grande vivacità.
Al naso il primo impatto è di piccoli frutti rossi maturi, successivamente vengono fuori la speziatura, note floreali di violetta appassita e sentori di erbe balsamiche in chiusura. Al sorso è equilibrato, di corpo, caldo ed avvolgente, sorretto da un buon apporto fresco/sapido ed una sottile trama tannica.
Notevole la persistenza, con richiami di frutta e speziatura.
 

Ho avuto modo di apprezzare il Maso Montalto in un ampio calice di media apertura, ad una temperatura di 14/15°C.
Personalmente lo abbinerei ad uno "
Sformatino di Patate e Broccoli con Provola Affumicata e Salsiccia".
 


Prezzo in enoteca: 25-30€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.tenutelunelli.it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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mercoledì 23 marzo 2016

Montevetrano, Silvia Imparato, 2005

Di Antonio Indovino

Colli di Salerno IGT, Montevetrano, Silvia Imparato, 2005 

Correvano i primi anni '80, periodo in cui Silvia Imparato, allora fotografa di professione, condivideva con un nutrito gruppo di amici la passione per il vino. Erano gli anni in cui lo stile Bordolese era un vero e proprio mito, nonchè punto di riferimento per produttori e wine-lovers.
L'interesse comune, la professione dell'uno, le ambizioni dell'altra.
Sono queste le circostanze in cui si conoscono e che spingono "Madame Imparato" a confidarsi con Renzo Cotarella: attualmente Amministratore Delegato della Marchesi Antinori, allora Enologo ed Agronomo.
L'ambizione di Silvia era quella di produrre un vino di qualità lì al sud, nel fondo di famiglia che i "nonni Imparato" avevano acquistato dai Borboni negli anni '40. Fu così che Renzo ne parlò al fratello Riccardo, anch'egli enologo.
Successivamente ai primi sopralluoghi di Riccardo, si decise il rifacimento del vigneto: sulle vecchie viti di Barbera, Piedirosso ed Uva di Troia, vennero innestate rispettivamente Aglianico (biotipo di Taurasi), Cabernet Sauvignon e Merlot.
Le prime sperimentazioni portarono nel '91 a risultati stupefacenti, oltre tutte le aspettative, con le primissime bottiglie (destinate ad un uso strettamente proprio) ottenute da Cabernet Sauvignon per il 70% ed il saldo restante di Aglianico.
Nei 2 anni successivi si giunse alla "quadratura del cerchio" con l'aggiunta del Merlot al taglio, la commercializzazione della prima annata nel 1993 e, la nascita del Montevetrano: il primo "supercampano" che fece scalpore soprattutto per il taglio di 2 vitigni internazionali con un vitigno autoctono come l'Aglianico.

Il vino, così come l'Azienda Agricola, prendono il nome dalla collina su cui sorge l'omonimo castello medioevale di Montevetrano: fortilizio costruito sulle rovine di un "castrum romano" del III secolo a.C. nato per controllare le popolazioni picene deportate nella piana del Sele.
Ci troviamo nel comune di San Cipriano Picentino, su rilievi pre-appenninici alle spalle della città di Salerno, caratterizzati da suoli dalla matrice calcarea e riporti piroclastici effusivi.
E' qui che sono allevati i 5 ha di vigna a cordone speronato e guyot, esposti a sud-ovest e con una densità di 5000 ceppi/ha.
La produzione Aziendale oggi è incentrata su due etichette: al Montevetrano si affianca Core, un aglianico in purezza, per un totale di circa 60.000 bt/anno.
Tutt'oggi, come agli esordi, la conduzione enologica è affidata a Riccardo Cotarella che si avvale del supporto di Domenico La Rocca per il lavoro svolto in cantina ed in vigna.

Veniamo dunque al Montevetrano, di cui ho avuto la fortuna di degustare la 2005.
E' un'assemblaggio di Cabernet Sauvignon per il 60%, Merlot 30%, e saldo di Aglianico. La fermentazione alcolica e successivamente quella malolattica sono avvenute esclusivamente in acciaio, con una macerazione durata 21 giorni.
Successivamente il vino è stato elevato in barriques di primo passaggio per 12 mesi, cui è seguita una ulteriore sosta in bottiglia di 6 mesi prima della commercializzazione.

Calice alla mano il vino si presenta con una luminosa, fitta ed impenetrabile veste granata, molto composto nelle roteazioni del calice.
Di grande espressività al naso: si susseguono note di ciliegie e piccoli frutti neri sotto spirito, lievi note di geranio e violette passite, richiami di tabacco dolce, legno di sandalo, cioccolato e caffè.
Al sorso è equilibrato, morbido ed avvolgente, sorretto da una grande freschezza, un tannino maturo ed una discreta sapidità. Lunga e piacevole è la chiusura di bocca che richiama le note di cioccolato e frutta sotto spirito.

Ho avuto modo di apprezzare il Montevetrano in un ampio calice, intorno ai 16/18°C, stappato con un'oretta d'anticipo.
Personalmente mi sentirei di consigliarlo, in alternativa all'abbinamento "tradizionale" col Taurasi, con un tipico piatto Pasquale: Cosciotto di Agnello al forno.

 
Prezzo in enoteca: 40-45€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.montevetrano.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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martedì 22 marzo 2016

Ragis, Le Vigne di Raito, 2011

Di Antonio Indovino

Colli di Salerno Rosso IGT, Ragis, Le Vigne di Raito, 2011
 
L'Azienda Agricola Le Vigne di Raito ha origine nei primi anni del duemila, periodo in cui la titolare, Patrizia Malanga, si ritrova a gestire un terreno semi-abbandonato di circa 3 ettari a Raito (nel Comune di Vietri sul Mare)....piccola ed affascinante enclave della Costa d'Amalfi.
Fu un amore a prima vista e la Sig.ra Malanga si rimboccò le maniche ben volentieri, approfondendo anche le sue conoscenze storiche in merito. Anticamente era ben radicata "in loco" una viticoltura dedita alla produzione di vini di qualità come si evince dalla stessa etimologia latina del nome con cui era riconosciuta questa zona di Raito: San Vito ad Torcle (torculum=torchio).
Ecco il motivo per cui all'interno del suo podere, circondato dai boschi e ricco di vegetazione tipica della macchia mediterannea (mirti, allori, ulivi secolari e limoneti di sfusato amalfitano), Patrizia decise di impiantare ex novo un vigneto avvalendosi della consulenza prima di Fortunato Sebastiano, poi di Gennaro Reale (dal 2009 ad oggi).
Ci troviamo in piena D.O.P. Costa d’Amalfi, e la scelta (per la personale predilizione) cadde su vitigni autoctoni a bacca rossa riconosciuti per l'appunto dal Disciplinare di Produzione, quali Aglianico e Piedirosso. 
I due vitigni sono allevati con un sesto d'impianto diverso, l'Aglianico a guyot (seguendo le più moderne tecniche), il Piedirosso invece a pergola (per necessità di avere tralci più lunghi in quanto le prime gemme sono improduttive), ma con la stessa densità di circa 3000 ceppi/ha.
E' il  primo vigneto specializzato della zona, con l'obiettivo ambizioso di produrre un vino di qualità che esprimesse nel calice quel singolare contesto pedo-climatico.
Il forte identikit qualitativo è testimoniato e confermanto dal fatto che una annata climaticamente avversa come la 2014 non sarà commercializzata dall'Azienda!
I 2 ettari di vigneto sono dislocati su fazzoletti di terra strappati alla roccia nel corso degli anni, delimitati dalle cosiddette macere (termine con il quale localmente si è soliti indicare i muretti a secco).
L'esposizione è ottimale ed i vigneti (che guardano il Golfo di Salerno da un'altitudine compresa tra i 150 ed i 220 m s.l.m.) sono costantemente baciati dalla brezza marina ed affondano le radici in un sottosuolo dalla matrice calcarea di origine triassica risalente a 210 milini di anni fa.
Nel rispetto dell'ecosistema che circonda il vigneto l'Azienda produce in regime biologico certificato, con operazioni in vigna svolte solo ed unicamente a mano.
Dopo anni di duro lavoro finalmente nel 2007 viene vinificata, e succesivamente commercializzata, la prima annata dell'etichetta di punta, il Ragis, di cui vengono prodotte circa 4000 bt.
Ad essa dal 2011 si affianca il Vita Menia, un rosato dlle stesse uve in tiratura di 1000 bt. circa.
Precedentemente ho fatto riferimento alla D.O.C. Costa d'Amalfi e ci ritorno per una ulteriore ed importante info: a partire dall'ultima vendemmia (la 2015) i vini di Patrizia potranno riportare la suddetta demonimazione in etichetta in quanto la vinificazione delle uve è avvenuta per la prima volta nella cantina adiacente ai vigneti (per le annate precedenti si appoggiava ad una cantina esterna).
Tanti piccoli traguardi, un grande succeso frutto di un unico messaggio: unicità, impegno e sacrificio.


Di seguito vi riporto le impressioni sul vino di punta dell'Azienda, il Ragis: tra le varie annate degustate in cantina ho prediletto la 2011 la cui espressione probabilmente ha incontrato, più delle altre, il mio gusto personale.

E' un blend di Aglianico e Piedirosso nelle percentuali di 80 e 20% circa, con rese intorno ai 60 q/ha, vinificati separatamente in acciaio dove fermentano e macerano con le bucce per 15 giorni a temperatura controllata.
Successivamente avviene l'assemblaggio e l'élevage per 12 mesi in botti di rovere francese da 5hl, cui segue un'ulteriore affinamento di 12 mesi in bottiglia prima di uscire sul mercato.


Alla vista si presenta perfettamente integro, di buona consistenza e con una trama dalla luminosa veste rubina.
Sprigiona profumi di piccoli frutti rossi maturi, violette di campo, macchia mediterranea e leggeri accenni di tostato e spezie scure.
Il sorso è discretamente morbido, con l'alcol ben integrato. Da contraltare vanno ad equilibrare una buona freschezza, un tannino percettibile ma ben maturo ed una piacevole sapidità.
Buona la chiusura di bocca che richiama ed indugia con persistenza sui frutti rossi e le note di macchia mediterranea.
In sintesi un vino armonico, dalla grande bevibilità e con ampi margini di evoluzione.


Ho avuto modo di apprezzare il Ragis in un calice abbastanza voluminoso e di media apertura, intorno ai 16/18°C.
Andrebbe stappato almeno mezz'ora ora prima di degustarlo o, quantomeno, travasato in una caraffa dalla forma affusolata per un servizio più rapido ed evitare al contempo un'areazione eccessiva.
Personalmente lo abbinerei ad un Sartù di Riso alla Napoletana.

Prezzo in enoteca: 15-20€
Contatti: www.levignediraito.com

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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Petratonda, Porto di Mola, 2014

Di Antonio Indovino

Galluccio Bianco DOP, Petratonda, 
Porto di Mola, 2014

L'Azienda Agricola Porto di Mola fu fondata nel 1988 dalla famiglia Esposito, la cui tradizione vinicola risale alla fine dell'800. A ridosso degli anni '90 Giuseppe Esposito, il fondatore, rileva un fondo di 325 ha tra le colline di
Rocca D'Evandro e Galluccio: una zona particolarmente vocata alla viticoltura per morfologia del suolo e microclima.
Ci troviamo all'interno del Parco Regionale di Roccamonfina, sul versante nord-est del vulcano, ad 1 Km dal fiume Garigliano. Era proprio qui che sorgeva un importante porto commerciale dal quale i Romani esportavano i vini e gli oli della "Terra di Lavoro". Di qui il nome dell'Azienda (Porto di Mola) che trae spunto dal trascorso storico. Il fondo inizialmente era di proprietà del Duca fiorentino Velluti Zati, che vi aveva fatto impiantare 27 ha di vigneto con un sistema di allevamento a tendone per favorire una produzione di tipo quantitativo.
I vitigni impiantati erano sangiovese, ciliegiolo e merlot che però non seguivano un'ordine logico nè all'interno del filare stesso, che tantomeno tra una vigna ed un'altra.
Il riconoscimento della "D.O.C. Galluccio" nel 1997, unitamente al fatto che le diverse varietà avevano periodi di maturazione totalmente diversi e causavano problemi sia in raccolta che durante i trattamenti fitosanitari, spinsero Giuseppe (sotto lo gli stimoli del figlio Antimo) alla totale conversione dei vigneti.
La scelta ricadde su varietà autoctone campane quali l'aglianico amaro (localmente diffuso) e la falanghina (biotipo beneventano), che ottemperavano al disciplinare di produzione.
Il sistema di allevamento passò a sua volta dalla pergola alla spalliera, con relativo infittimento d'impianto, sancendo un netto cambio di rotta col passato.
Il merito fu della lungimiranza di Antimo che, fin dai primi momenti, ha voluto puntare tutto sulla qualità affidandosi all'enologo Maurizio De Simone, da sempre innamorato di questa "terra di confine".
Nel corso degli ultimi anni il vigneto è passato dai 25 ha di fine anni '90 agli attuali 45, con l'aggiunta di altre due varietà rigorosamente campane quali il fiano ed il greco, mentre la vecchia cantina è stata rimpiazzata con un'ampia ed accogliente struttura dotata delle più moderne ed efficienti attrezzature.
L'attuale conduzione enologica è affidata a Davide Biagiotti, supportato dall'agronomo Franco Mancini.

Di seguito vi riporto le mie impressioni sul Petratonda.
E' un vino ottenuto dalla vinificazione di Falanghina in purezza, allevata su suolo vulcanico con matrice argillosa e rese di 80 q/ha. La vinificazione avviene esclusivamente in acciaio, con permanenza sulle "fecce fini" per 8 mesi circa.
Successivamente il vino subisce un illimpidimento statico a freddo prima dell'imbottigliamento, a cui segue un'ulteriore sosta in vetro di 4 mesi prima della commercializzazione.
 

Ha una vivida e carica tonalità paglierina, ben composto nelle rotaezioni del calice.
Sprigiona profumi intensi di frutta esotica ed a pasta gialla non perfettamente matura, come l'ananas e la nespola, una forte mineralità di fondo e richiami di ginestra ed erbe balsamiche.
Il sorso è d'impatto, teso e moderatamente caldo, sorretto da una grandissima freschezza e sapidità.
Complessivamente è ben equilibrato, con una piacevole chiusura che richiama le note fruttate ed erbacee.

Andrebbe degustato in un calice di media grandezza, intorno ai 10/12°C.
Personalmente lo abbinerei ad una buona Mozzarella condita con un filo d'olio extravergine dal fruttato medio ed una leggera macinata di pepe.


Prezzo in enoteca: 5-10€ 
Contatti: www.portodimola.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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Forgiato, Villa Dora, 2001

Di Antonio Indovino

Lacryma Christi del Vesuvio Rosso DOC, Forgiato, Villa Dora, 2001

Nel 1997 la famiglia Ambrosio capitanata da papà Vincenzo, tutt'ora cuore pulsante dell'azienda, decise di dedicarsi con un'attenzione diversa alla viticoltura trasferendo i concetti alla base della loro produzione olivicola di qualità nella conduzione del vigneto di proprietà. 
Ci troviamo a Terzigno, nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio, in un contesto unico sia dal punto di vista paesaggistico che per la morfologia del suolo. Dalle falde del Vesuvio, su un suolo vulcanico ricco di lapilli e ceneri, nonchè di pietra lavica, le vigne (contigue agli uliveti) guardano verso sud il Golfo di Napoli dai loro terrazzamenti a circa 300m di altitudine.
La volontà di eccellere e distinguersi nel trasmettere la forte identità territoriale hanno spinto Mr Ambrosio nei primi anni duemila ad un cambio radicale in vigna e in cantina.
L'enologo Roberto Cipresso, colpito dall'unicità del contesto pedo-climatico e dalle vecchie viti a piede franco impiantate dopo l'ultima eruzione del 1944, ha guidato l'Azienda Villa Dora in una lunga e difficile scommessa: la vittoria è stata sancita dal successo dei prodotti che tutt'ora sono identificati come target di riferimento qualitativo nell'areale vesuviano.
La conversione è stata lenta e graduale, soprattutto in vigna.
Sono serviti 3 anni di attente potature per convertire le "classiche" pergole vesuviane in un sesto d'impianto spalliera con potatura a "Guyot" (dalle rese nettamente più basse), ed intensificarne la densità intorno ai 4000 ceppi per ettaro.
Al contempo il progetto ambizioso ha richiesto un cambio nella conduzione del vigneto, che segue il regime biologico.
L'attenzione per la vigna si è inevitabilmente riversata in cantina, dove nulla è stato lasciato al caso, a partire dalla scelta delle attrezzature fino alle tecniche di vinificazione ed ai lunghi affinamenti in cantina prima dell'uscita sul mercato delle etichette di punta: mai prima di due anni dalla vendemmia!
Ci son voluti ben 5 anni di attesa e sacrifici economici per raccogliere i primi frutti, nonchè un grande sforzo di marketing e comunicazione: presentarsi con un annata diversa in etichetta, dei prezzi diversi dalla concorrenza di allora, e conquistarsi la fiducia del mercato sono stati un gradino difficile da superare.
Oggi l’Azienda Villa Dora (la scelta del nome è una dedica di Vincenzo alla moglie) è ancor più solida di allora, forte della collaborazione di tutti i componenti della famiglia: Vincenzo è affiancato e supportato dai figli Antonio, Giovanna e Francesca.
L'attuale conduzione enologica è curata da Fabio Mecca, che si avvale del supporto di Lorenzo Ciampaglia per il lavoro in vigna: insieme hanno saputo raccogliere, e condurre nel migliore dei modi, un importante testimone.

 

Quest'oggi voglio raccontarvi le mie personali impressioni sul rosso più pretenzioso dell'azienda, il Forgiato, primo vino prodotto nel 2001, frutto delle uve di quelle vecchie viti con una bassissima resa di 40 q/ha.
L'annata della bottiglia degustata è proprio quella della prima vendemmia, con l'intento di voler ulteriormente confermare l'indiscutibile qualità e longevità di questi vini.
Si tratta di un blend di uve Piedirosso ed Aglianico, nelle rispettive percentuali di 80 e 20% circa, vinificate separatamente in acciaio e poi assemblate ed elevate per 18 mesi in tonneaux da 5hl di primo passaggio (dove svolge anche la malolattica). L'etichettatura e la messa in commercio sono precedute da un'ulteriore affinamento in bottiglia per un periodo di almeno 8 mesi.

 

Ci troviamo di fronte ad un vino dalla fitta veste granata, luminosa e composta nelle roteazioni del calice.
Notevole è l'impatto olfattivo, di grande finezza e stratificazione. Si percepiscono subito note scure di cenere e cacao, poi tabacco e liquirizia. Successivamente emergono note di amarena sciroppata, confettura di frutti di bosco e scorzetta d'arancia candita: il tutto accompagnato da richiami che ricordano il sottobosco.
Al sorso è ben bilanciato, morbido, ma sorretto da una buona freschezza, un tannino ancora vivido ed un piacevole accenno sapido. La chiusura è lunga e richiama le note di cenere e di confettura.
De apprezzare subito ed al contempo da conservare gelosamente in cantina per un futuro riassaggio: a voi la scelta!

 

Ho avuto modo di apprezzare in pieno il Forgiato in un ampio calice ad una temperatura di 18/20°C.
Andrebbe stappato almeno qualche ora prima di degustarlo e, personalmente, lo abbinerei ad un piatto di grande personalità: Filetto di Maiale in crosta di Pane Saporito e salsa ai Frutti di Bosco.


Prezzo in enoteca: 15-20(per le ultime annate in commercio)
E' possibile acquistare le annate storiche direttamente in azienda.
Contatti: www.cantinevilladora.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
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Terra di Lavoro, Galardi, 2005

Di Antonio Indovino

Roccamonfina Rosso IGT, Terra di Lavoro, Galardi, 2005
 
L'Azienda Agricola Galardi nasce da una radicata passione per la terra dei proprietari Maria Luisa Murena e Francesco Catello, Dora ed Arturo Celentano.
La cantina si trova nella frazione S.Carlo di Sessa Aurunca, ed i vigneti sono immersi tra boschi di castagni e gli uliveti, sulle pendici vulcaniche del cratere di Roccamonfina cha affacciano sul golfo di Gaeta. La potenzialità del terreno vulcanico e l’incontro (nel 1991) con Riccardo Cotarella, enologo particolarmente sensibile al recupero e alla valorizzazione dei vini del Meridione, hanno portato alla nascita, con la prima vendemmia nel 1993, del Terra di Lavoro.
 

Si tratta di un "blend" di Aglianico e Piedirosso (rispettivamente nelle percentuali dell'80 e 20%), ottenuto da vigne esposte a Sud-Ovest, allevate a cordone speronato secondo i criteri dell’agricoltura biologica. La fermentazione avviene in acciaio (dove svolge anche la "malolattica") con macerazione pellicolare di 20 giorni, dopodichè, il vino viene elevato in barriques nuove di Allier e Never per 12 mesie e successivamente imbottigliato con un affinamento minimo di 8 mesi prima d'esser commercializzato (dari riferiti all'annata 2005).
 

Nel calice si fa apprezzare per la sua integrità, la grandissima espressività ed armonia.
Alla vista si presenta con una trama fitta e luminosa al contempo, dalla tonalità rubina appena granata sull'orlo e dotato di una discreta trasparenza.
L'espressività sotto il piano olfattivo è da encomio, tale è la stratificazione e la dinamicità con cui evolve nel calice:
frutti di bosco ed amarena sotto spirito, cioccolato fondente e spezie scure, note di iodio e zolfo, sottobosco e radici di liquirizia, nonchè richiami balsamici e mentolati.
Il sorso è austero, di grande impatto, avvolgente e soretto con equilibrio da una notevole trama fresco-sapida e tannini rigorosi ma mai allappanti. Perfetta è la coerenza nei richiami olfattivi per via retronasale, con una lunga e piacevole chiusura che rimanda agli aromi di sottobosco.
La vividezza nel calice, la freschezza gustativa ed il grandissimo equilibrio, comprovato dalle pressocchè assenti precipitazioni tartariche sul fondo della bottiglia sono indici di una grandissima longevità di questo vino.


Personalmente ho avuto modo di apprezzare in pieno il
Terra di Lavoro in un ampio calice ad una temperatura di 18/20°C, stappato circa 3 ore prima di degustarlo e, ovviamente, dopo una paziente ed accorta conservazione in cantina.
Ne consiglierei l'abbinamento con un piatto di grande struttura e personalità come: Guancia di Vitello Brasata servita col suo Fondo e Tartufo su Purea di Patate.


Prezzo in enoteca: 40-45€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.galardi.net

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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Oi nì, Tenuta Scuotto, 2011

Di Antonio Indovino

Campania Fiano IGP, Oi nì, Tenuta Scuotto, 2011

Ci troviamo a Lapio, in Contrada Campomarino, alle pendici del Monte Tuoro. E' qui che nel 2009 Eduardo Scuotto, con l’aiuto del figlio Adolfo, decide di realizzare  un sogno risposto nel cassetto, ma mai accantonato: quello di dar vita ad un'azienda vitivinicola. La passione per il vino, unita allo spirito imprenditoriale ed alla voglia di eccellere nel proprio operato, sono stati sicuramente gli stimoli giusti per realizzare un progetto molto ambizioso. L'idea è stata fin da subito quella di affacciarsi sullo scenario enologico regionale con prodotti che differissero per identità nel calice, che non seguissero nessuna moda, emozionanti, unici e comunque fedeli ad un territorio, quello irpino e di Lapio nel particolare, dalla indiscutibile vocazione. Fondamentale è stata la scelta di un enologo dalla grande esperienza come Angelo Valentino, che da 30 anni calca il panorama vitivinicolo campano e grazie al quale è nato Oi nì (locuzione con cui in dialetto napoletano ci si rivolge ad un figlio), etichetta simbolo, quella che meglio rappresenta la diversità dai "competitor" sul mercato, e di cui vantare la paternità già dal nome in etichetta. E' un Fiano in purezza da vendemmia tardiva che fermenta ad opera dei lieviti indigeni in botti alsaziane, dove resta per 12 mesi sulle fecce fini, cui segue un breve passaggio in acciaio ed ulteriori sei mesi di affinamento in bottiglia prima della commercializzazione. Un protocollo non convenzionale, che non rispetta i dettami del Disciplinare di Produzione della DOCG Fiano di Avellino, e che giustifica (a dispetto della provenienza delle uve) una denominazione diversa in etichetta.
 

Calice alla mano ci troviamo di fronte ad un vino denso, dalle vivaci tonalità dorate. Sul piano olfattivo regala grandi emozioni: frutta esotica, albicocca candita, vaniglia, erbe balsamiche, nocciole tostate e richiami di note affumicate. Il sorso è caldo ed avvolgente, sorretto da una buona freschezza, opulento ed equilibrato. Chiude con grande persistenza richiamando le note balsamiche e la frutta candita. Per goderne appieno servitelo intorno ai 12°C in un calice piuttosto ampio, magari ad accompagnare un piatto di "Fusilli alla Genovese di Baccalà".

Prezzo in enoteca: 15-20€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.tenutascuotto.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
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Aliseo, Reale, 2006

Di Antonio Indovino 

Colli di Salerno IGT, Aliseo, Azienda Agricola Reale, 2006

L'Azienda Agricola Reale prende vita nel 2002 grazie alla passione per il vino dei fratelli Luigi e Gaetano.
La Costa D'Amalfi fa solo da cornice ad un contesto che vanta una centenaria tradizione agricola qui nel comune di Tramonti, proprio come gli antecedenti dei Reale.
Ci troviamo esattamente nel borgo di Gete, una delle 13 frazioni di Tramonti, racchiusa nell'enclave formata dai monti lattari, una vera e propria gola che scende sulla costa fino a Maiori.
Il singolare contesto pedo-climatico trae beneficio dalle brezze marine mitigatrici e dal mix di argilla e prodotti piroclastici effusivi che vanno a comporre la matrice del sottosuolo.
Talune condizioni hanno permesso all'Azienda l'allevamento di varietà autoctone a piede franco come la Biancazita (clone della falanghina), la Biancolella, la Pepella, il Piedirosso (localmente detto Per’É Palummo) ed il Tintore (vigne centenarie).
La cura del vigneto sotto l'aspetto agronomico, così come la conduzione enologica, sono a cura di Fortunato Sebastiano.

Dell'Azienda sono qui a parlarvi del loro Aliseo, annata 2006 condivisa (grazie a lui) con Mr. Luigi Casciello (Sommelier dell'Antica Osteria Nonna Rosa).
Il vino è ottenuto da uve Biancazita e Biancolella con un piccolo saldo di Pepella, vinificato ed elevato in acciaio, con una piccola parte della massa che gode di un passaggio in barrique.
Nel calice il vino si presenta con grande eleganza in una tonalità paglierina ricca di sfumature tendenti al dorato, di grande vividezza e concentrazione.
Al naso è da plauso, tale è la sua sfaccettatura: è un esplosione di profumi che vanno dai richiami di idrocarburi e note gessose in primis, per poi aprirsi su toni salmastri, di macchia mediterranea e note agrumate.
In bocca spiazza ancor di più: di grande impatto, morbido, ha freschezza da vendere ancora, una buona dose di sapidità ed un grande equilibrio che ha saputo guadagnarsi in questi anni anche grazie alla perizia con cui è stato conservato ed atteso.
La chiusura è lunga con forti richiami agrumati e salmastri.

Il vino andrebbe idealmente servito ad una temperatura di 12°C in un calice più ampio del consueto col fine di fargli esprimere al meglio la sua evoluzione.
Per coloro che non sanno rinunciare al vino come solito compagno in tavola ne consiglierei l'abbinamento con del "Salmone Affumicato servito con la classica Insalatina di Rinforzo".

Prezzo in enoteca: 10-15€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: http://aziendaagricolareale.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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Vigna delle Volpi, Agnanum, 2012

Di Antonio Indovino

Campi Flegrei Piedirosso DOC, Vigna delle Volpi, Az. Agr. Agnanum di Raffaele Moccia, 2012

L’azienda Agricola Agnanum è situata sulle colline vulcaniche della Riserva naturale degli Astroni, nel Parco Regionale dei Campi Flegrei, lungo il versante che volge verso l'Ippodromo di Agnano dove si estende per circa 7 ettari.
L'avventura è iniziata nel 1990, anno in cui Raffaele Moccia, da sempre appassionato di viticoltura, mette in atto un'accurato piano di recupero del vigneto impiantato nel 1960 dal papà Gennaro. L'entusiasmo e la passione per il buon vino trasmesse dal padre hanno spinto Raffaele a rinunciare alla libera professione di "agrotecnico", per seguire l’azienda da vicino con lo scopo di valorizzare appieno le risorse vinicole di questa area. Tanto e duro laroro, rigorosamente manuale, quello svolto sugli ardui terrazzamenti sabbiosi.
La conduzione agronomica è quindi a cura dello stesso Raffaele, la cui filosofia è "poche bottiglie ma buone", ed in cantina lo affianca l'enologo Gianluca Tommaselli.

Veniamo al Vigna delle Volpi.
Viene prodotto nella parte più alta del vigneto, zona dove abitualmente passano le volpi che vivono nella riserva.
Il singolare contesto pedo-climatico, la cura maniacale, le bassissime rese in vigna e la vendemmia tardiva sono le premesse, cui seguono una maturazione in piccole botti di rovere per 8 mesi a seguito della fermentazione, ed una ulteriore sosta in vetro per almeno 2 mesi prima dell'uscita sul mercato delle ricercatissime 600 bottiglie che di solito ne vengono prodotte.

Calice alla mano si presenta con una veste luminosa di grande concentrazione cromatica e consistenza, dal colore rubino con l'orlo tendente al granato.
Il quadro olfattivo è ricco di richiami che vanno dalla ciliegia all'arancia rossa, dai profumi di rosa a quelli di geranio, acompagnati da una piacevole e mai predominante nota pepata ed affumicata.
Il sorso è di carattere, di grande impatto ed equilibrio: tanta freschezza, una buona dose di sapidità, un tannino appena percettibile ed una lunga chiusura con richiami di agrumi e di affumicato.

Per esprimersi al meglio ha bisogno di un calice piuttosto ampio dove andrebbe servito intorno ai 14/15°C ad accompagnare un piatto di "Candele Spezzate alla Genovese di Maiale"


Prezzo in enoteca: 15-20€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.agnanum.it 


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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Secolo Novo, Le Marchesine, 2009

Di Antonio Indovino

Franciacorta DOCG, Secolo Novo,
Le Marchesine, 2009
 

L'Azienda Agricola Le Marchesine nasce nel 1985, anno in cui Giovanni Biatta, il capostipite, acquisto' i primi tre ettari nella zona del Franciacorta. E' da almeno cinque generazioni, pero', che la famiglia lavora nel mondo del vino: infatti il bisnonno di Giovanni, Camillo Biatta, era un "negociant eleveur".

Oggi, dai tre ettari iniziali, l’azienda si e' estesa fino a raggiungere i 47 ettari di vigneto, iscritti agli albi delle Doc e Docg.
La filosofia Aziendale e' fortemente incentrata su due fattori: qualità ed innovazione tecnologica.
Tutto ciò è testimoniato dalla conduzione maniacale delle vigne, a partire dalla bassissima resa e l'accurata scelta delle barbatelle da impiantare, e l'utilizzo delle pupitres meccanizzate (giropallets) in cantina giusto per citarne qualcuna.
La conduzione enologica è curata da Jean Pierre Valade, membro dell'Istituto Enologico di Champagne.

Il Secolo Novo è la punta di diamante dell'azienda, prodotto solo nelle grandi annate da uve Chardonnay in purezza, la cui fermentazione avviene esclusivamente in acciaio a temperatura controllata, indotta solo da lieviti indigeni, con succesiva rifermentazione in bottiglia per 60 mesi circa (riferito all'annata 2009).
Le uve impiegate provengono dalla zona piu prestigiosa, la collina de La Santissima di Gussago ad un altitudine di circa 270m s.l.m.
Le forti escursioni termiche, il suolo argilloso ed i rilievi pre-alpinici che proteggono dalle fredde correnti continentali, rappresentano il contesto pedo-climatico. Calice alla mano, ci troviamo di fronte ad un prodotto di qualità eccelsa.
Si presenta con una veste dalle tonalità paglierine brillanti, dal perlage finissimo, di grande impatto visivo e persistenza.
Al naso ci regala non poche emozioni. Il primo impatto è di crosta di pane, accompagnato da sentori di agrumi ed erbe balsamiche, per poi aprirsi su delicate note di nocciole mandorle e fichi secchi.
Il sorso è ben equilibrato, avvolgente e sorretto da una notevole controparte fresco-sapida. Notevole la chiusura di bocca che richiama piacevolmente le note di agrumi e mandorle.

Personalmente lo abbinerei su uno "Sformatino di Riso allo Zafferano, con Scampi ed Agrumi", servito ad una temperatura di 7/8°C nel calice appositamente studiato dal Consorzio Franciacorta.

 

Prezzo in enoteca: 30-35
Contatti: www.lemarchesine.com


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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Pietramara Etichetta Bianca, I Favati, 2011

Di Antonio Indovino

Fiano di Avellino DOCG, Pietramara Etichetta Bianca, I Favati, 2011


L'Azienda vitivinicola I Favati nasce nel 1996, forte di una lunga tradizione familiare risalente ai primi del ‘900 e, spinta dalla passione e dalla cultura del buon vino, che si traducono in una filologia di qualità indiscussa nel calice.
Rosanna Petrozziello è l'anima ed icona simbolo del "marchio familiare", affiancata dal marito Giancarlo Favati e dal cognato Piersabino. Insieme conducono circa 15 ettari vitati, sia di proprietà che in affitto, in cui vengono allevati Fiano, Greco ed Aglianico, dislocati nei comuni di Atripalda, Montefusco, San Mango sul Calore e Tufo.
Niente viene lasciato al caso e vengono curati personalmente tutti gli aspetti legati alla produzione ed alla commercializzazione dei propri vini.
Il tutto avviene sotto l’attenta consulenza enologica di Vincenzo Mercurio che, con I Favati, vanta sicuramente la paternità della diversificazione delle etichette all'interno della stessa vigna: il legame con il territorio per lui è sempre al primo posto ed è imprescindibile dal concetto di zonazione, in questo caso come in altri.
I vigneti aziendali sono condotti in maniera rigorosa e meticolosa, nel massimo rispetto di ambiente, natura ed ecosistema: in modo da poter vendemmiare uve perfettamente sane. In cantina i grappoli vengono lavorati ed interpretati in maniera poco invasiva, cercando di esaltare ogni singola sfaccettatura che la stagione ed il territorio sono stati capaci di esprimere nel frutto.

Il "Pietramara Etichetta Bianca" nasce dalla parte più alta della vigna di Atripalda, quella impiantata per prima, esposta a Nord-Est, su suolo prettamente argilloso ad un altitudine di 450m s.l.m.
In questa porzione di vigna, l'ultima ad essere raccolta, le caratteristiche delle uve dettano una lavorazione diversa (breve macerazione pellicolare), una maturazione (in acciaio sulle fecce nobili per 2 anni) ed un affinamento (in bottiglia) più lunghi rispetto al "fratello minore", il Pietramara Etichetta Nera, prodotto nella zona più bassa.
 

Calice alla mano, il vino si presenta con una veste dorata, lucente e di grande consistenza.
Al naso è un esplosione di profumi cha vanno dalle note fruttate di nespola ed albicocca, alle note floreali di camomilla ed erbacee di timo, per poi chiudere su leggere note di nocciola tostata.
Il sorso è caldo e morbido, giustamente bilanciato da una buona dose di freschezza e sapidità, equilibratissimo e di grande persistenza.
Senza ombra di dubbio alcuna, questo vino denota un'armonia piena, a pieno merito.

Un prodotto d'eccellenza, quindi, che potrà accompagnarvi in tavola con un piatto di "Gnocchetti con Lupini di Mare, Broccoli e Nduja", a patto che venga servito ad una temperatura non inferiore ai 12°C.


Prezzo in enoteca: 15-20€
(per le ultime annate in commercio) 
Contatti: www.cantineifavati.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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lunedì 21 marzo 2016

Zagreo, I Cacciagalli, 2013

Di Antonio Indovino

Roccamonfina Fiano IGT,
Zagreo, I Cacciagalli, 2013

 
L’Azienda Agricola I Cacciagalli nasce nel 2004 alle falde del cratere di Roccamonfina, nel cuore della “Campania Felix”, un’areale conosciuto sin dall’epoca romana per il singolare contesto pedo-climatico dove la natura vulcanica del sottosuolo rappresenta un’eccellenza geologica per la coltivazione della vite.
La conduzione agronomica ed enologica è curata dalla proprietaria stessa, Diana Iannacone, che ha scelto per l’azienda il nome che da sempre contraddistingue la zona in cui si trova la storica Masseria di famiglia.
L’approccio in vigna è di tipo “naturalistico” secondo i dettami dell’agricoltura “biodinamica”.
La vinificazione è di tipo non “interventista” con fermentazioni spontanee in anfora, bassissimo uso di solforosa, senza additivi aggiunti né tantomeno chiarifiche e filtrazioni.

Come si traduce tutto ciò nel calice?
Come direbbe un mio amico e compagno di bevute, Luigi Casciello, questa è una “divagazione sul tema” in merito al Fiano: 3 mesi di macerazione a contatto con le bucce, complessivamente 8 mesi circa in anfora prima dell’imbottigliamento.
Siamo di fronte ad un “Orange Wine”, opalescente, di buona consistenza.
Al naso, appena va via la leggera riduzione iniziale, il vino si offre con dinamismo regalando un quadro alquanto variopinto di mela verde, erbette e fiori di campo, note minerali, gessose, per poi sfociare in sottili sentori di agrumi canditi e miele di millefiori.
Al sorso è di grande impatto, gioca tanto sulle durezze, fresco e sapido, con una percettibile astringenza dovuta all’estrazione di componenti fenoliche in fase macerativa che preclude in parte una buona persistenza.
Siamo fuori dai "comuni schemi" e pertanto i concetti di equilibrio ed armonia potrebbero essere opinabili, sicuramente questo vino ha delle caratteristiche fortemente contraddistintive e le carte in regola per poter evolvere ulteriormente.
Servito ad una temperatura di 12/14°C previa caraffatura e re-imbottigliamento può ben accompagnare un piatto di “Mischiato Delicato in Brodetto di Gallinella di Mare”.


Prezzo in enoteca: 10-15€
Contatti: www.icacciagalli.it/it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina



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Sireo Bianco, Abbazia di Crapolla, 2013

Di Antonio Indovino

Campania Bianco IGT, Sireo, Abbazia di Crapolla, 2013

La Società Agricola Crapolla nasce nel 2007 rilevando il fondo nel territorio dell'antico casale di Avigliano (ai giorni d'oggi è la frazione di San Salvatore) in Vico Equense e propriamente sul culmine della collina che sovrasta il Vallone di Satrulo e il convento di San Francesco. Qui si trova una piccola Abbazia Benedettina, un tempo divisione di quella situata nel Fiordo di Crapolla a Massa Lubrense, ed oggi sede della cantina e pronta ad accogliere gli aspiti in visita all'azienda. Antichi manoscritti testimoniano la produzione di grandi vini proprio qui in Penisola: il "Vinum Sorrentinum" oltre ad essere paragonato al "Vinum Falernum" era il vino bevuto dall'Imperatore Tiberio nella Villa Jovis a Capri. Vicissitudini risalenti al 1526 ci portano a conoscenza di litigi tra la nobile famiglia Carafa di Napoli e l'università di Vico Equense riguardo al prezzo di vendita dei vini di Crapolla, a testimoniare ulteriormente la qualità dei vini prodotti qui in zona. Nel 2008 i proprietari mossi in primis da una grande passione e dalla voglia di valorizzare un territorio ahimè bistrattato, nonchè affrancati dalle testimonianze storico-culturali, decidono di dar vita ad un nuovo vigneto di Falanghina e Fiano, conservano in parte le vecchie viti di Sabato e Merlot, ed impiantano Pinot Nero per vezzo personale.  
Segue i lavori in vigna ed in cantina l'enologo ed agronomo Arturo Erbaggio che, con competenza e caparbietà, sta conducendo e portando avanti una sfida colma di difficoltà: ogni vendemmia a Crapolla è sì la sintesi di un anno di duro lavoro in vigna, ma soprattutto una nuova lezione da cui imparare soprattutto dai capricci della varietà transalpina.

Passiamo al vino, ottenuto da uve Falanghina e Fiano (60%-40%) coltivate su suolo franco sabbioso, ricco di pomici e lapilli, bassa resa in vigna e vinificato in acciaio dove sosta per un anno circa prima dell'imbottigliamento. Elegantissimo nella sua veste quasi dorata, di grande vivacità, che fa presagire un discreto corpo per il suo incedere composto durante le roteazioni del calice. Pulizia estrema e finezza al naso: il tempo sta giocando a suo favore.
Affascina con note di frutta a pasta bianca, fiori e bucce di agrumi, richiami di macchia mediterannea e note minerali.
Il sorso non tradisce affatto: deciso, fresco e sapido. Chiude con equilibrio in un lungo finale che richiama piacevolmente le note agrumate ed erbacee.

Ho avuto modo di apprezzare il Sireo in un calice di media grandezza, ad una temperatura di 10/12°C.
Potrebbe essere il compagno ideale
di un "Risotto ai Pesci di Scoglio".

Prezzo in enoteca: 15-20€
Contatti: www.abbaziadicrapolla.it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina



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Le 10 regole d’oro di chi ama il vino

Di Danilo Ingannamorte (fonte Intravino)

A te che timidamente e con curiosità ti avvicini al mondo del vino, a te che da qualche tempo ci dai dentro con bottiglie, guide e degustazioni, a te che spendi in enoteca cifre da finale della Champions League, a te che guardi ammirato i guru indovinare il vino annusandolo a 30 cm di distanza...
E
cco, proprio a te dico: continua così, stai andando benissimo!
Ma attento, i peccati capitali di un wine-snob, trionfo di noiose sicurezze e sopracciglia alzate, sono in agguato.
Perchè? Disquisire col barbiere del sentore di grafite captato nello "Cheval Blanc" o, consigliare uno "Champagne Metodo Solera" a tua mamma che deve invitare gli zii a cena sono bruttissimi segni.
Annota queste 10 regole per esercitare la passione con costanza e abnegazione, lo spazio per aggiungerne qualcuna non manca.



1 ) Non te la menare 
 Questo è il primo e più importante comandamento. Sii pronto a ricacciare indietro il celolunghismo in ogni sua forma, pensando a quanto poco sai di biologia molecolare o di storia delle relazioni internazionali. Se proprio devi sfogarti, fallo con chi ti sfida con frasi del tipo: “questo vino sembra biodinamico”. Eppure ci sarebbe da ridire......
2 ) Assaggia tutto e ogni volta che ne hai l’occasione
Se puoi cerca di farlo “alla cieca”, senza sapere prima di cosa si tratta e ogni tanto non disdegnare un vino “ordinario” dal bottiglione: ti aiuterà a ricordare da dove vieni e soprattutto quanto te la stai spassando adesso.

3 ) Adotta un piccolo produttore
Sceglilo in base ai vini e alle affinità. Vai a trovarlo, compragli i vini e seguilo di vendemmia in vendemmia. Scoprirai la gioia di conoscere un vino e un territorio da vicino.

4 ) Fatti adottare da un onesto enotecario
Ti aiuterà a muoverti, a scoprire nuovi mondi e a risparmiare soldi. Come scerglielo? È semplice: innanzitutto deve essere simpatico e in secondo luogo devi osservarlo mentre parla dei suoi vini preferiti: se vedi una luce che gli si accende negli occhi e non riesci più a farlo smettere, non c’è dubbio, farà al caso tuo. Attenzione però: il tuo palato è sovrano, se non ti piace un vino non è perchè non lo capisci, è perchè non ti piace.

5 ) Privilegia i produttori che hanno a cuore l’ambiente e le loro vigne
Il vino buono ha bisogno di una natura non strapazzata.
6 ) Non bere mai da solo

Il bello del vino è la socialità e poi se si divide, si risparmia.

7 ) Monopolizza garbatamente la carta dei vini al ristorante
Non per tirartela, ma perché è qui che si mette in pratica il tuo esercizio per il fine ultimo cui ogni buon enofilo deve tendere, ovvero il momento delle tre “G”: good food, good company, good wine.

8 ) Vai almeno una volta al Vinitaly rimanendo sobrio
Non serve arrivare a Verona per bere come spugne fino a non distinguere più un Fiano di Avellino da un Sauvignon Blanc. Il bello è assaggiare tanto, tantissimo, ricordandosi delle sputacchiere. In ogni modo non siamo alla fiera del masochismo: i più buoni si deglutiscono magari facendo il bis.

9 ) Leggi un po’ di tutto, ma soprattutto quello che ti annoia meno  
Rifuggi la stampa da setta di intenditori che sciorina descrittori e sentenzia ogni due righe con malcelata retorica. La vita è già troppo breve per bere male, figuriamoci per leggere male di vino.
10 ) Costruisciti un percorso personale
Appassionati a un vitigno, a una zona, a una tipologia. Scoprila pian piano, senza fretta, senza usare i punteggi come bussola, ma saltando di etichetta in etichetta a seconda delle occasioni, degli spunti, della casualità.
I
nfine, quando ti sentirai abbastanza "forte in materia", passa con consapevolezza ad un'altra tipologia. Ebbene sì, bisogna essere consapevoli di non poter mai conoscere tutto!
A volte mi capita di parlare con persone che credono di conoscere un vino per il semplice fatto di averlo degustato una volta sola: le variabili sono tante, troppe, motivo per cui ogni annata è un caso a sé...

Il buon vino ha bisogno di un attento degustatore che sappia valutarlo mettendo da parte il suo gusto personale.
Racconta ai tuoi commensai o amici come sei arrivato ad un vino, chi lo fa, la sua storia e quali ricordi ti legano alla bottiglia. Intanto, ricolma i loro bicchieri. Prosit.

Antonio Indovino
, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
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