martedì 26 luglio 2016

Axel Munthe, Joaquin Dall'Isola, 2015

Di Antonio Indovino

Campania Bianco IGT, Axel Munthe e Villa San Michele, Joaquin Dall'Isola, 2015
 
Ci troviamo a Montefalcione, nell’avellinese. È qui che ha sede la cantina di Raffaele Pagano, è qui che furono fondate nel 1999 le Aziende Agricole Joaquin.
Raffaele (primogenito e figlio d’arte, poichè la famiglia è proprietaria di una storica cantina sul Vesuvio) decide di fondare la cantina in Irpinia per la sua radicata tradizione enologica e con la voglia di esaltarne le grandi potenzialità, avvalendosi del supporto degli enologi Sergio Romano e Maurizio De Simone.
Il nome della cantina, Joaquin, è un omaggio alla famiglia Borbone, che durante il proprio regno sulle Due Sicilie si impegnò a diffondere e a migliorare la viticoltura nel sud Italia: per loro era di assoluta importanza dare da mangiare prodotti eccellenti e da bere vini superlativi quando ricevevano visite dai parenti francesi!
La particolarità di questa cantina, tuttavia, non sta nelle uve ma bensì nela filosofia che il suo fondatore vuole trasmettere: vini mai uguali a se stessi che, bottiglia dopo bottiglia ed etichetta dopo etichetta, donino esperienze costantemente nuove.
Raffaele Pagano propone, quindi, vini unici nel suo genere  e che non si ripetono, almeno che non ci sia un progetto preciso alla base, oppure l’annata giusta corrispondente a quel progetto.
La sintesi di tutto ciò? Ogni annata un vino, ogni annata un progetto, ogni vino e ogni varietà diventano quindi un pretesto per interpretare le molteplici peculiarità del contesto pedo-climatico e portare nel calice la massima espressione possibile del vitigno senza contaminarla durante la vinificazione.
I vini prodotti dall’azienda sono quindi unici nel loro genere, nel senso che si tratta di vini progetto realizzati per singole annate e che non seguono un protocollo ben definito: un prodotto artigianale paragonabile ad un capo di sartoria cucito a mano, dove un filo non perfettamente allineato è indice di bellezza assoluta poichè lo rende unico e ed affascinante in quanto tale (cit. Raffaele Pagano).
Questa è la chiave del successo aziendale, unitamente al grande lavoro fatto di porta in porta, di contadino in contadino, alla ricerca delle migliori uve e della loro miglior espressione territoriale, nonchè di piante centenarie scampate alla fillossera che diano al vino le caratteristiche peculiari del vitigno e non quelle dettate dalla selezione massale dei vivaisti.

La prima etichetta in assoluto è arrivata nel 2006, IViaggi (l'unico bianco da Aglianico di Taurasi): un nome che vuole indicare l'inizio di un percorso e dove la I attaccata alla V non'è un'errore ma un modo di rafforzaare il concetto di inizio.
Successivamente è partito il primo progetto di Fiano con il JQN 203 2007, a seguire il 110 OYSTER 2008 (da Greco di Tufo e Falanghina della zona di Montefusco nelle proporzioni del 95 e 5%), il Vino Della Stella (Fiano in purezza da uve di Montefalcione) insieme a Dall'Isola (da uve Falanghina, Greco e Biancolella prodotte sull'isola di Capri dalla Famiglia De Tommaso) ed il Taurasi Riserva della Società (da uve di Paternopoli) tutte nel 2009. Nel 2011 è arrivato Piante a Lapio (da uve Fiano di piante centenarie a piede franco prodotte a Lapio),
ed infine nel 2014 l'Orange Wine 110 OSTRICA B.O. ed il secondo vino prodotto sull'Isola di Capri, Axel Munthe.

Quest'oggi ho avuto la fortuna di degustare proprio una delle ultime etichette nate nella Cantina Joaquin: Axel Munthe 2015, la seconda annata commercializzata.
Il progetto è stato portato a termine da Raffaele Pagano, sprezzante per le sfide ed ormai noto per aver rilanciato la viticoltura sull'Isola Azzurra, insieme allo zampino di Angelo Di Costanzo (suo strenuo sostenitore) ed alla volontà del Console Svedese Staffan De Mistura di valorizzare ulteriormente la Villa San Michele dove dimora.
Il vino prende il nome di Axel Munthe, un medico svedese che s'innamorò così tanto delle rovine di un'antica cappella lassù ad Anacapri al punto di acquistarla e restaurarla, intitolarle la sua bibliografia nel 1929, per poi lasciarla in eredità allo stato svedese alla sua morte.

Nei meravigliosi giardini di Villa San Michele, più precisamente negli angusti terrazzamenti sostenuti da muretti di pietre a secco, vengolo allevate in maniera tradizionale (col sistema puteolano dello Spalatrone) Biancolella, Falanghina e Greco.
Raffaele si prende cura del microscopico vigneto e ne trasforma le uve nella sua cantina (raccolte in tarda sera e trasportate sotto ghiaccio col primo aliscafo del mattino).
Dato il quantitativo veramente irrisorio, al punto di non essere sufficiente per l'impiego della pressa, le uve per scelta vengono vinificate in damigiane vetro (proprio come da tradizione dei contadini isolani). Come da filosofia Joaquin la fermentazione è ad opera dei lieviti indigeni, con macerazione pellicolare e decantazione statica a freddo. Subito dopo la fermentazione alcolica viene uniformata la massa e vengono tappate ed etichettate le sole 200 bottiglie prodotte, che restano in cantina per circa 3 mesi prima della commercializzazione.

Nel calice il vino si presenta con una luminosa veste dorata.
Al naso si percepiscono note di frutti e fiori gialli come albicocche e nespole, camomilla e fiori di ginestra, accompagnate da profumi marini/salmastri e di macchia mediterranea.
In bocca il vino è morbido ed avvolgente, supportato da una piacevole freschezza e sapidità, con una lunga chiusura che indugia sugli aromi fruttati ed ebacei.

Andrebbe servito ad una temperatura di 8/10°C in un calice di media grandezza ed apertura.
Personalmente ne consiglierei l'abbinamento al Pesce Azzurro con Patate, Limone, Camomilla e Peperocino Crusco dello Chef Giuseppe Guida. 


Prezzo in enoteca: 65-75
Contatti: www.joaquinwines.com
 
Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina

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venerdì 22 luglio 2016

Spumante Pas Dosè, Tenuta Sarno 1860, 2015

Di Antonio Indovino

Vino Spumante di Qualità Pas Dosè, Tenuta Sarno 1860, 2015
 
Ci troviamo a Contrada Giardini di Candida (630m s.l.m.), nel quadrante sud-est dell'areale della DOCG Fiano di Avellino, a metà strada tra Lapio e Montefredane.
È qui che Maura Sarno ha compiuto la volontà del papà Domenico, noto e stimato Notaio dell'avellinese, nonchè appassionato di agricoltura.
Sulle orme della nonna, che produceva vini per uso proprio, Maura decide di accantonare la laurea in giurisprudenza e di dedicarsi completamente alla viticoltura in un momento in cui i vini dell'avellinese hanno iniziato la loro irrefrenabile ascesa.
È così che nel 2002 fa spiantare tutto e da il via allo "scasso" del suolo. Nel 2004 avviene finalmente l'impianto del vigneto. La scelta del vitigno da impiantare (Fiano) è stata quasi obbligatoria visto che Candida è tra i comuni il cui territorio amministrativo è riconosciuto all'interno del disciplinare di produzione: ma non'è stata l'unica motivazione!
Maura, supportata in todo da Vincenzo Mercurio, ha sempre avuto le idee ben chiare: lavorare in un unico sito, un'unica vigna per un'unica tipologia di uva, dando vita ad un prodotto unico che fosse autentica espressione del territorio (concetto cardine e molto caro soprattutto all'Enologo Stabiese). Nel 2009 arriva finalmente la prima vendemmia di Tenuta Sarno (commercializzata nel 2010), che da subito ha riscosso un grandissimo successo, tra gli appassionati e soprattutto tra i critici ed esperti di settore, ed è stato premiato come vino d'eccellenza per la Guida dell'Espresso.
Si è partiti da 2ha di vigne e 4000 bottiglie prodotte per arrivare agli attuali 8ha ed una produzione annua di 20000bt nel 2015. Il successo ottenuto e l'escalation delle richieste hanno reso necessario l'acquisto di vigne contigue, sempre sullo stesso versante e con la stessa esposizione e suolo: solo uve di proprietà ed un identikit territoriale tracciato nel profilo organolettico del vino in maniera distintiva ed univoca.
Come accennato in precedenza il consulente enologico è Vincenzo Mercurio che, con la dedizione e la metodologia che lo contraddistinguono, segue dagli inizi la Sig,ra Sarno curando nei minimi dettagli il lavoro in vigna ed in cantina.

Quest'oggi ho avto la fortuna di degustare un prodotto in anteprima, uno spumante che a breve uscirà sul mercato e non ancora presente sul listino aziendale: sono stato il primo in assoluto a comprarlo!
È da 2 anni che Maura cullava l'idea di produrre uno spumante di qualità da uve fiano, proprio come veniva prodotto agli inizi del '900.
Dopo un'attento studio si è deciso di far prevalere ancora una volta la filosofia contraddistintiva di Tenuta Sarno: un vino che esprimesse sempre e comunque il territorio di Candida ed il fattore annata, ma che venisse incontro allo stesso tempo al gusto personale della produttrice che predilige i vini secchi e senza residuo zuccherino.
Così è nato lo spumante di qualità pas dosè 2015 prodotto col metodo Charmat/Martinotti.
Sono le stesse uve del Fiano di Avellino DOCG, allevate a spalliera con potatura a guyot ed una desità d'impianto di 5000 ceppi/ha, sul suolo dalla matrice argilloso-calcarea di Vigna Giardini. La vigna è in conversione biologica, condotta con lavorazioni esclusivamente manuali e rese che oscillano tra i 40 ed i 60 q.li/ha.
La vendemmia è avvenuta a metà Ottobre, periodo in cui si è ritenuto che l'incrocio delle curve della maturità tecnologica, fenolica ed aromatica avessero raggiunto il loro optimum.
Come sempre, per far prevalere il territorio di Candida, la fermentazione alcolica avviene in acciaio e viene innescata dai lieviti indigeni, con inoculo successivo di lieviti selezionati neutri nella misura necessaria a portare al compimento la trasormazione degli zuccheri residui.
Successivamente il vino è stato fatto rifermentare in autoclave dove è restato a contatto con le fecce per 9 mesi prima dell'imbottigliamento.

Nel calice si presenta con una brillante veste paglierina con un perlage fine, numeroso e peristente se rapportato alla tipologia.
Al naso emerge in primis una nota polposa di pera, accompagnata da toni floreali di zagara, richiami erbacei di tiglio ed accenni minerali e balsamici: il tutto su una piacevole ed accennata nota di fondo di burro fuso.
Il sorso è secco ed avvolge piacevolmente il palato, sorretto da una buona dose di freschezza e sapidità e caratterizzato da un notevole equilibrio. L'ingresso in bocca è intenso ed indugia a lungo richiamando per via retronasale le note fruttate, minerali e di pasticceria.

Andrebbe servito ad una temperatura di 5/6°C in un calice di media grandezza e dall'apertura leggermente più stretta.
Personalmente ne consiglierei l'abbinamento a dei canapè durante un aperitivo e comunque in pendànt con dei crostacei crudi, il tutto possibilmente in una meravigliosa terrazza sul mare qui in costiera.


Prezzo in enoteca: 10-15€

Contatti: www.sarno1860.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina

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venerdì 15 luglio 2016

Annita, Il Rio, 2014

Di Antonio Indovino

Toscana Bianco IGT, Annita, Il Rio, 2014


Ci troviamo tra il comune di Vicchio di Mugello e l’Appennino Tosco-Romagnolo. È qui che Paolo Cerrini, ex artigiano orafo di Firenze ed appassionato per l'agricoltura, ha iniziato a studiare ed a vinificare delle uve della piccola vigna di proprietà (0,5 ha).
In quelle campagne dove da ragazzo scorrazzava in bici, Paolo compra un vecchio rudere e poi un piccolo appezzamento con sogno di piantarci una vigna tutta sua. 

In quella zona dalla scarsa tradizione vitivinicola venivano allevate le stesse uve del chiantigiano, ma con scarsi risultati a causa della differenza di temperatura (in media di 5°C inferiore), che non consentiva una maturazione ottimale delle uve.
Già nel 1800 Vittorio degli Albizi, a Pomino, aveva fatto esperimenti con vitigni francesi, gli stessi che gli suggerì Marco De Grazia, suo amico in primis nonchè esportatore ed attualmente produttore, che all'epoca aveva un ufficio affianco al laboratorio orafo di Paolo. Fu così che Paolo nel '92 decise di impiantare Chardonnay, Pinot Nero e Sauvignon Blanc: varietà che ben si adattano al terreno argilloso ed al clima continentale con forti escursioni termiche giorno/notte che caratterizzano l'arele del Mugello.

La produzione, inizialmente per consumo familiare, si è espansa successivamente a livello commerciale grazie ai risultati sempre più incoraggianti a partire dal 1997.
Marco de Grazia ha sempre avuto un ruolo fondamentale per Paolo, tant'è vero che tutti gli anni Paolo gli faceva assaggiare il suo Pinot Nero, che inesorabilmente finiva nel lavandino, tranne quel '97. Marco non era in ufficio e Paolo lasciò la bottiglia alla segretaria, ed il giorno dopo ricevette una telefonata illuminante: per il suo amico quello era stato uno dei migliori Pinot Nero italiani che lui avesse mai assaggiato. Niente era cambiato nel modo di fare quel vino, ma una serie di circostanze fortunose avevano portato a quel risultato, facendo capire a Paolo che da quel momento in poi le cose andavano fatte con cognizione di causa! 

Di lì è partita una sperimentazione continua col supporto
dell'agronomo piemontese Fabrizio Prosperi (che tuttora supervisiona l’andamento dei vigneti), di enologi come Beppe Rigoli e Claudio Gori, con la consulenza tecnica di Fabio Bellucci (esperto di materiali, attrezzature ed impianti per l'enologia) e sotto i consigli di un amico esperto in materia: Franz Haas.
In questo lasso di tempo Paolo ha avuto modo di affinare le sue tecniche di coltura/allevamento e vinificazione, e di munirsi delle attrezzature necessarie e sufficienti da utilizzare nella cantina ricavata nei locali del casale originario Il Rio, uno dei poderi storici della Fattoria di Molezzano.

I commenti positivi, anzi entusiastici, sui suoi vini hanno spinto Paolo ad acquistare e riconvertire un'altra vigna di circa 1,5 ha, Le Panche, nel 2001 ed a fondare l'Azienda Agricola Il Rio nel 2003: grazie anche al sostegno economico di una inconsueta lista di nozze!
Stesse varietà, stesso sistema di allevamento a spalliera con potatura a guyot, su ispirazione del metodo borgognone, e disposizione della chioma su due pareti (lyra modificata), in modo da avere una doppia superficie di irraggiamento.
Tutte le lavorazioni tra i filari, rigorosamente manuali, avvengono nel pieno rispetto dell'ecosistema vigna e comunque volte a ridurre gli interventi in cantina allo stretto necessario.
Il suolo viene concimato con sovescio a filari alterni, per consentire nei filari non concimati l’inerbimento e lo sfalcio tardivo, permettendo alla flora spontanea di completare il proprio ciclo.
La potatura secca è orientata ad una produzione di 1-1,5 kg di uva per ceppo e la gestione della chioma è volta a favorire la produzione di tralci secondari ed avere foglie in piena attività al momento della maturazione dell’uva. A ciò si aggiungono trattamenti con preparati il più possibile naturali come i fosfiti di potassio, il rame, la bentonite, lo zolfo in polvere.....
Il tutto si traduce in una esigua produzione di circa 12000 bt suddivise in 4 etichette.

Quest'oggi ho avuto la fortuna di degustare l'Annita 2014.
È un vino nato per caso nel 2002, un'annata molto piovosa. Le uve Chardonnay erano piene di marciume e botrite e la produzione aziendale di allora era così esigua da non riuscire a riempire una sola barrique. La soluzione di Paolo fu aggiungere succo di Pinot nero, vinificato in bianco: et voilà, nacque Annita. 
Dalla casualità si è passati ad un idea di vino ben precisa. Le uve, rigorosamente selezionate in vigna, vengono raccolte solitamente a metà settembre.
Lo Chardonnay effettua una macerazione pre-fermentativa a freddo mentre il Pinot Nero viene vinificato in bianco. Successivamente viene assemblato il vino nelle rispettive percentuali del 70 e 30%, dopodichè passa in barrique per 3 mesi: periodo durante il quale avviene la fermentazione alcolica e parzialmente quella malolattica.
Successivamente il vino sosta in bottiglia per ulteriori 6 mesi prima della commercializzazione.
3 sole barriques, per una produzione inferiore alle 1000 bt/anno.

Nel calice il vino si presenta con una vivace e consistente veste paglierina.
Al naso si percepiscono note agrumate, di cantalupo, nespola, richiami erbacei e gessosi, con una leggerissima nota boisè di fondo. Il sorso è generoso e morbido, sorretto da una buona freschezza ed una piacevole sapidità, con una lunga chiusura che inducia su rimandi fruttati e e minerali.

Ho avuto modo di apprezzare l'Annita in un calice abbastanza voluminoso e di media apertura intorno ai 10/12°C.
Personalmente lo abbinerei al Delicato Sorrentino dello Chef Peppe Guida.


Prezzo in enoteca: 15-20€ 
Contatti: www.ilriocerrini.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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venerdì 1 luglio 2016

Ribolla Gialla, Radikon, 2003

Di Antonio Indovino


Venezia Giulia IGT, Ribolla Gialla, Radikon, 2003 (100 cl)

Avendo già parlato precedentemente dell'Azienda, ed in particolare del "Jakot" (link), riporto dalla scheda precedente le informazioni di natura storica ed il contesto orografico.

Ci troviamo ad Oslavia (frazione di Gorizia), nel Friuli Venezia Giulia, lungo il costone che dal ponte dell'Isonzo sale nel cuore del Collio verso San Floriano. Questa zona, trovandosi a ridosso della prima linea, è stata il teatro della Grande Guerra ed in quell’occasione la zona rurale fu quasi completamente rasa al suolo.
In talune circostanze le uniche forme di sostentamento erano l'allevamento del bestiame e la viticoltura e l’agricoltura in genere. Stanko nel '77 raccoglie il testimone nel nonno Franz Mikulus e del padre Edoardo Radikon. Giovane sì, ma con una grande passione per la terra ed una gran voglia di sperimentare che lo portano ad imbottigliare i suoi prmi vini a ridosso degli anni ’80.  Il primo cambio netto col passato fu l’abbandono delle vecchie botti per passare all'uso dell'acciaio ma, una grandinata nel Giugno dell’85 gli apre la mente verso una nuova strada. Si ebbe un notevole diradamento dell'uva in vigna e l’esigua parte restante era sana e figlia di un'annata ottima, sebbene le uve avessero una minore acidità rispetto ai valori di riferimento. Secondo le analisi di laboratorio sarebbe stata necessaria una notevole correzione di acido tartarico, e così decise di lasciare tutto come natura aveva voluto con risultati sorprendenti ed inaspettati. Per Stanko fu un segnale chiaro ed univoco sulla strada da seguire.
Ha inizio, così, un grandissimo cambiamento in vigna e in cantina. In vigna vengono realizzati nuovi impianti con densità di 7.000-10.000 ceppi per ettaro, mentre in cantina vengono inizialmente sperimentate le barrique, poi i tini tronco-conici da 25-35 hl dove le uve bianche maceravano per 6 mesi.
Successivamente vengono aboliti i solfiti ed a poco a poco le barriques lasciano il posto alle grandi botti di rovere (30-35 hl) e le continue sperimentazioni portano a ridurre le macerazioni ai 3-4 mesi attuali.
Siamo arrivati quindi ai giorni nostri, dove questo "poeta del bere naturale" ha ormai consolidato una filosofia che mette sempre al primo posto il rispetto per l'ambiente e il territorio, eliminando in vigna tutti quei prodotti figli della chimica, che tanti danni creano all'ecosistema e alla salute di noi comuni mortali, cercando di produrre uve sane e con il giusto grado di maturazione.
In cantina utilizza lieviti indigeni, non esegue nessun tipo di trattamento, né chimico, né fisico o naturale. Solo qualche travaso da un contenitore all'altro. Tutto questo finalizzato a portare in bottiglia comunque un prodotto che sia sano, naturale ma anche di elevata qualità e fortemente identificabile e riconducibile al concetto di vino come figlio di un’uva, un’annata, un territorio.


É stato un piacere poter degustare quest'oggi la Ribolla Gialla 2003 di Sasa Radikon.
È un vino ottenuto dalla vinificazione di uve Ribolla Gialla in purezza che, una volta diraspate, vengono poste in tini di rovere dove fermentano a contatto con le bucce, senza il controllo della temperatura e senza aggiunta di lieviti selezionati. Per tenere sempre immerse le bucce durante tutta la macerazione si eseguono in media dalle 3 alle 4 follature manuali al giorno.  Alla fine della fermentazione alcolica i tini vengono colmati e chiusi ed il vino rimane a contatto con le bucce per circa 2 mesi.
Dopo la svinatura il vino riposa in botti di rovere da 25-35 hl, per circa 3 anni, durante i quali si effettuano vari travasi (solo se necessari). Successivamente il vino viene imbottigliato senza alcuna filtrazione né chiarifica in bottiglie da 0,50 e 1,0 l senza aggiunta di conservanti.


Nel Calice il vino si presenta con una veste opalescente dalla tonalità ambrata.
Il naso è un tripudio di profumi che vanno dalla crema pasticcera alla vaniglia, cannella, zafferano, confettura di albicocche, tè alla pesca, fieno, erbe balsamiche e miele di millefiori.
Il sorso è secco ed avvolgente, con una discreta percezione pseudo-calorica, fresco e piacevolmente sapido, con una lunga chiusura di bocca che richiama il miele e le erbe balsamiche.
 
Ho avuto modo di apprezzare la Ribolla Gialla in un calice voluminoso e dall’ampia apertura, ad una temperatura di 14°C dopo averlo stappato con 2 ore di anticipo.
Personalmente ne consiglierei l’abbinamento ad un “Risotto ai Cipollotti e Scamorza Affumicata, con Ristretto d'Arancia Amara e Tonno alle Erbe”.


Prezzo in enoteca: 35-40€ (per le ultime annate in commercio)
 
Contatti: www.radikon.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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La Moynerie, Michel Redde et Fils, 2008

Di Antonio Indovino

Pouilly Fumé AOC, La Moynerie, Michel Redde ef Fils, 2008
 
Ci troviamo a Pouilly-sur-Loire, 200 Km a sud di Parigi, ed esattamente a Saint-Andelain, una piccola cittadina di poco più di 500 abitanti lungo la riva destra della Loira.
I vigneti di quest’area hanno origini molto antiche: la zona era già coltivata a vite quando fu invasa dai Romani, ma ancora una volta furono i monaci a dare un impulso decisivo alla tradizione vitivinicola della regione.
Dalle colline i vini arrivavano a Orléans trasportati in battello lungo il fiume, quindi venivano inviati alle ricche mense di Parigi. L’enologia della zona ebbe una battuta di arresto attorno al 1860, quando il mercato dell’uva da tavola era più redditizio di quello del vino. Ma la crisi durò solo fino all’inizio del XX secolo, quando si riprese il lavoro in vigna e soprattutto in cantina.
É qui che Michel Redde nei primi anni '50, appena 20enne, decide di seguire le orme del padre e comunque di portare avanti le vigne di proprietà della famiglia Redde: Vignerons dal 1630, anno in cui il frate François Redde ha iniziato a lavorare come enologo a Pouilly-sur-Loire.
Michel, con il suo coraggio e la tenacia che lo contraddistinguono, e con il supporto della moglie Simone, acquista altri appezzamenti che successivamente reimpianta a Sauvignon Blanc, andando ad ampliare il vigneto di famiglia.
Nel Luglio del 1966 decide di costruire una sala di degustazione che chiama The Moynerie (a ricordare le sue origini, visto che l'attività di enologo era una volta riservata ai soli monaci) lungo la famosa Route Nationale 7.
Questa era aperta ai clienti francesi ed ai turisti di passaggio ai quali far degustare il suo Pouilly Fumé.
Nel 1977 Thierry, figlio di Simone e Michael, si è unito ai genitori portando nuove idee: nel 2001 decide di strutturare la cantina su 3 livelli in modo da spostare i vini per gravità durante le varie fasi che precedono e portano all'imbottigliamento del prodotto finale.
Nel 2003 e nel 2005 subentrano rispettivamente Sébastien e Romain, figli di Thierry, che sulle orme del nonno e del padre portano avanti l'azienda e la tradizione familiare con la stessa filosofia: portare in bottiglia con passione e dedizione l'espressione del vitigno e del'terroir.
Oggi Moynerie gestisce 42 ettari nel cuore della denominazione Pouilly Fumé AOC, nel pieno rispetto dell'ecosistema vigna: condotta in regime biologico, con basse rese, e lavorazioni esclusivamente manuali.

Quest'oggi ho avuto la fortuna di degustare La Moynerye 2008.
É un vino ottenuto dalla vinificazione di Sauvignon Blanc in purezza, localmente detto anche Blanc Fumé per la patina grigiastra che ricopre gli acini.
Le uve vengono da 4 diverse vigne, con altrettante morfologie del suolo: marne kimmeridgiane (Pouilly-sur-Loire), silicio  albiano (Saint-Andelain), calcare portlandiano (Tracy-sur-Loire) e calcare oxfordiano (Saint-Martin-sur-Nohain).
Le viti, allevate con una densità d'impianto di 10000 ceppi/ha, hanno un'età media di 20-25 anni, dalle quali si ricavano rese di 45-50 q/ha.
Dopo la raccolta rigorosamente manuale in casse da 10-12 Kg le uve vengono vinificate ed affinate in vasche di acciaio inox  e botti per 10-12 mesi sui lieviti (secondo annata).

Nel calice il vino si presenta con una vivace e consistente veste paglierina dai riflessi dorati.
Al naso si percepiscono profumi che ricordano i frutti esotici maturi come il mango e l'ananas, gli agrumi canditi, il fieno e la mandorla tostata, il tutto su una nota affumicata di fondo.
In bocca il vino è sì avvolgente, ma fresco e salino, equilibrato ed armonico, dalla grandissima piacevolezza e sorbevolezza, con una lunga chiusura dai toni esotici ed affumicati.

Ho avuto modo di apprezzare il Pouilly Fumé La Moynerie in un calice abbastanza voluminoso, intorno ai 12°C.
Personalmente lo abbinerei ad un "Risotto Asparagi e Gamberi con Olio all'Aglio bruciato".


Prezzo in enoteca: 25-30€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: www.michel-redde.fr


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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