domenica 28 agosto 2016

Vini da...mare 2016

Di Antonio Indovino 

Vini da...mare 2016, 3° edizione.


Vini da...mare giunge alla sua 3° edizione che, come le precedenti, si svolgerà presso lo Yacht Club del porto turistico di Marina di Stabia, il 1° settembre.
Dalle ore 18.00 alle 22.00 si potranno degustare i vini bianchi, rosati e spumanti delle Aziende Campane che hanno voluto aderire alla manifestazione. 
Freschi o ghiacciati, idealmente, potranno appagare i naviganti nei loro viaggi in mare.
Saranno ben 84 le tipologie proposte in degustazione dai Sommeliers Ais della Penisola Sorrentina, guidati dal loro Responsabile dei Servizi Antonio Indovino.
Non solo vino però! 
Ad accompagnarlo ci saranno anche prodotti tipici campani: mozzarella, ricotta di bufala, pizze dalla lenta lievitazione, pomodorini ed i migliori oli extravergini di oliva da agricoltura biologica della selezione Extrabio 2016. 
Saranno i benvenuti tutti gli appassionati di navigazione da diporto, nonchè gli operatori del settore nautico ed eno-gastronomico.


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina
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martedì 23 agosto 2016

Malvasia Vigna 80 Anni, I Clivi, 2014

Di Antonio Indovino 

Collio Malvasia DOP, Vigna 80 Anni, I Clivi di Ferdinando e Mario Zanusso, 2014

Avendo già parlato precedentemente dell'Azienda, ed in particolare del "Brazan 2001 140 mesi" (link), riporto dalla scheda precedente le informazioni di natura storica ed il contesto orografico.

Ci troviamo nel Collio Goriziano, precisamente sul versante sud del Monte Quarin, a Brazzano, nel comune di Cormons.
Si tratta di un’area particolarmente vocata alla viticoltura e riconosciuta come tale già in epoca precristiana. Sotto il profilo geologico e termico il suolo è costituito da stratificazioni alternate di “Flysch di Cormons” (ossia marne provenienti da sedimentazioni marine e roccia arenaria egualmente risalenti al periodo eocenico) e terra poverissima, con un clima fortemente caratterizzato dal regime dei venti e dall’influenza mitizzatrice del mare.

È qui che Ferdinando Zanusso, da sempre appassionato di vini, e dopo una vita passata a lavorare in giro per il mondo, decide di “mettere radici” acquistando nel ’94 una casa in collina con annessa una vecchia vigna di 2ha nel paese natale della moglie. Pochi mesi più tardi il figlio Mario, dopo la Laurea in Economia, decide di seguire le orme del padre: la passione di due comuni bevitori si tramuta in un impegno da produttori a tempo pieno ed ai primi 2ha di vigneti se ne aggiungono altrettanti, sempre lì a Brazzano e si giunge alla prima vendemmia nel 1996. Poi, nel 1997, i Zanusso acquistano un’altra vecchia vigna nei Colli Orientali del Friuli, a 3 Km di distanza, al di là dello Judrio: 8 ettari sul versante sud della collina di Gramogliano, nel comune di Corno di Rosazzo.
Anche qui era annessa una casa colonica che, restaurata e completata di cantina interrata, è divenuta la sede dell’azienda.

Viticultori per scelta e non per tradizione: ogni decisione, quindi, è stata presa con grande cura.
Perché I Clivi? La parola clivi sta ad indicare i declivi collinari lungo i quali scorrono i filari delle viti.
La scelta dei vigneti in collina è stata dettata dalla ricerca delle migliori condizioni di esposizione e ventilazione. Si tratta rigorosamente di vecchie viti di varietà autoctone.
Non’è una scelta dettata dal “romanticismo” che evocano i termini autoctono e vecchio, ma bensì di un'attento ragionamento.
Le varietà autoctone sono perfettamente acclimatate ed in simbiosi col terroir e, le vecchie viti, per la loro scarsa produttività (20-30 quintali/ha) e per il loro apparato radicale molto sviluppato, consentono di avere mosti dalla grande concentrazione e ricchi di sostanze estratte e sintetizzate dal sottosuolo.
La grande cura richiesta da queste viti, dove in alcuni casi si rendono necessari interventi mirati pianta per pianta, non ha giustificato  la pratica di trattamenti sistemici ed invasivi di natura chimica: motivo per cui, fin da subito, la conduzione dei vigneti è stata in regime biologico.
A tutto ciò si unisce la voglia di far venir fuori la forte vocazione territoriale, e la mano attenta del contadino/cantiniere che punta al più alto livello qualitativo possibile nel contesto dell’annata.
È così che in vigna si interviene con: potature corte, cimature limitate, trattamenti solo a base di rame e zolfo, esclusione di concimi chimici e irrigazioni di sostegno, vendemmia differenziata (per passaggi successivi) e raccolta a mano in cassette per evitare ossidazioni da prematuro schiacciamento.
In cantina invece: la vinificazione è peceduta da un’attenta cernita, poi pressature soffici, lunghe fermentazioni in acciaio ed a bassa temperatura condotte dai lieviti indigeni e senza macerazioni, maturazioni sulle fecce fini, nessuna filtrazione, chiarifiche per sedimentazione, imbottigliamento per gravità e tappatura manuale.



Quest'oggi ho avuto la fortuna di degustare la Malvasia Vigna 80 anni.
È un vino ottenuto da vecchie viti 80enni di Malvasia Istriana
vinificata in acciaio, con pressatura soffice di grappoli interi raccolti a mano.
La fermentazione alcolica avviene per opera dei lieviti indigeni, senza macerazioni, ed è seguita da una sosta sulle fecce fini di 6 mesi, senza chiarifiche nè filtrazioni.


Nel calice si presenta con una vivida e consistente tonalità paglierina dai riflessi dorati.
Al naso affascina per le sue note di erbe balsamiche ed officinali, per i richiami di resina e di sottobosco, per le note di frutta gialla matura ed una sottile mineralità, quasi gessosa.
Il sorso è sì teso, quanto avvolgente, sorretto da una buona dose di freschezza ed una grande sapidità, con una lunga e piacevole chiusura di bocca che indugia, richiamando per via retronasale, le note vegetali e di sottobosco.
Ho avuto modo di apprezzare la Malvasia Vigna 80 Anni in un ampio calice di media apertura intorno ai 12°C, dopo averla stappata con mezz'ora di anticipo.
Personalmente ne consiglierei l'abbinamento con un piatto di Tagliolini all'Uovo, con fonduta di Fiordilatte e Tartufo.


Prezzo in enoteca: 30-35€
Contatti: www.clivi.it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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venerdì 19 agosto 2016

Richebourg Grand Cru, Henri Jayer, 1981

Di Antonio Indovino

Richebourg Grand Cru AOC, Henri Jayer, 1981

Ci troviamo nel Nord-Est della Francia, esattamente nella Côte de Nuits, un sottodipartimento della Côte d'Or, nella Regione della Borgogna.
È qui che Henri Jayer (poco più che ventenne), verso la metà degli anni '40 (durante la seconda guerra mondiale), iniziò ad occuparsi delle vigne di famiglia al posto dei due fratelli chiamati alle armi. Fu così che mise in pratica gli insegnamenti universitari del suo maestro René Engel, docente alla facoltà di Enologia a Digione, iniziando a vinificare le uve delle parcelle di proprietà ad Echézeaux, Vosne Romanée e Cros-Parentoux (confinante con Richebourg). La sua grande capacità di lettura del territorio, unita alle sue notevoli competenze sul microclima e sulla geologia della Côte de Nuits, lo portarono ad individuare immediatamente le grandissime potenzialità del Cros-Parentoux, su cui scommise fin da subito con l'intento di elevare nettamente il livello qualitativo dei vini lì prodotti.
Mme Noirot-Camuzet, nipote di Etienne Camuzet, nonchè proprietaria di due piccole parcelle (rispettivamente 0.3523 e 0.0462 ha) all'interno dell'AOC Richebourg Grand Cru, stinse un accordo affinchè Henri si prendesse cura delle sue vigne.
Perchè proprio Jayer? Mme Camuzet fu affascinata dall'approccio rivoluzionario di Henri, soprattutto nella vinificazione: estremizzò il concetto di terroir (inteso come punto di partenza fondamentale), l'importanza di diversificare le epoche di raccolta in funzione della maturazione delle uve, l'uso di barriques sempre nuove, e le fermentazioni, che erano molto lunghe (malolattica compresa) e rigorosamente spontanee, ad opera dei lieviti indigeni, e precedute da una sorta di pre-macerazione a freddo che durava fino a 4 giorni, durante i quali si estraeva "tanta frutta e tannini meno ruvidi".
È così che nel 1945 è iniziata la storia di un vino tanto leggendario quanto imitato e falsificato, con l'accordo che si è rinnovato di anno in anno fino al 1987, nonostante la scoparsa di Noirot-Camuzet nel 1959. La volontà dei Meo-Camuzet di imbottigliare sotto il proprio marchio il Richebourg si è concretizzatta con un passaggio graduale iniziato nel 1985 e conlusosi nel 1987, periodo durante il quale Jayer è stato comunque consulente ed ha continuato ad imbottigliare a suo nome una sola barrique per annata.
Nel 1995 Henri decise di defilarsi nel panorama viti-vinicolo, cedendo le sue vigne al nipote Emmanuel Rouget che seguì personalmente fino al 2001, anno in cui mise fine alla sua coarriera di vigneron, per poi scomparire il 23 settembre del 2006: proprio nel giorno in cui ebbero inizio le vendemmie nella Côte d'Or.

Quest'oggi sono qui a raccontare un'esperienza che mai avrei immaginato di vivere in vita mia.

Il merito è di P. D. (per motivi di privacy non riporto integralmente il suo nome), comandante di un Mega Yacht, che ho avuto la fortuna di conoscere allo Yacht Club di Marina di Stabia.
Un grandissimo appasionato di vini che ho incontrato per la prima volta nel 2013 e che da subito si è innamorato della mia grandissima voglia di conoscere ed allargare gli orizzonti (questa è stata la frase con cui mi ha salutato la prima sera che è stato a cena in terrazza).
Da allora ci rivediamo tutti gli anni, ed ogni estate mi invita a condividere con lui vini come questo di cui sto per parlarvi.
Quest'anno ho avuto, grazie a lui, la fortuna di degustare il millesimo '81 del Richebourg di Jayer.
Di seguito vi riporto le mie personali imprezzioni.

Nel calice il vino si presenta con una vivida, consistente e fitta veste aranciata dai riflessi granati.
Al naso affascina per la sua grande evoluzione in bottiglia, la stratificazione dei profumi che ne consegue e la loro netta e precisa riconoscibilità.
Su tutti prevalgono i sentori di fondo di pelliccia e cuoio, accompagnati da rimandi di fichi e datteri secchi, di caramella al mou, di note terrose di sottobosco e tartufo, di cacao e tabacco, di liquirizia e di moka.
In bocca è disarmante per la sua eleganza e piacevolezza di beva. L'ingresso è si teso, complice anche l'acidità da vendere, ma allo stesso tempo avvolgente ed appagante, grazie anche ad una stimolante sapidità ed una interminabile chiusura di bocca che richiama soprattutto le note scure, terrose ed animali.

Ho avuto modo di apprezzare il Richebourg di Jayer intorno ai 16°C in un ampio calice appositamente ideato per i Burgundy Wines, dopo che fosse stato stappato la mattina.

Non c'è stata opportunità di riflettere sull'abbinamento, tale è stata l'emozione nel degustare uno di quei vini unici al mondo, tant'è vero che, al sol pensiero, mi tremano ancora le mani.
Spero che il fattore emotivo non abbia prevalso sulla razionalità e che non si trattasse di un falso. Forse non potrò mai averne la certezza assoluta, ma preferisco credere che si sia semplicemente avverato un sogno nato quando ho iniziato a studiare la viticoltura europea.

Il prezzo del biglietto?
Le quotazioni del Richebourg di Henri Jayer superano i 14.000€...........

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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venerdì 12 agosto 2016

Furore Bianco Fiorduva, Marisa Cuomo, 2013

Di Antonio Indovino

Costa d'Amalfi DOC, Furore Bianco Fiorduva, Marisa Cuomo, 2013

Avendo già parlato precedentemente dell'Azienda, ed in particolare del "Furore Bianco" (link), riporto dalla scheda precedente le informazioni di natura storica ed il contesto orografico. 

Ci troviamo nella splendida ed affascinante cornice della Costiera Amalfitana, esattamente nel fiordo di Furore, un'enclave nell'enclave (mi si perdoni il gioco di parole) dalla Campania vitivinicola, unica non solo per l'impatto estetico, ma soprattutto per la morfologia del suolo.
Qui la coltivazione della vite ha radici antichissime, riconducibili sicuramente alla Roma Imperiale, ed era praticata e riconosciuta come fonte di ricchezza anche nel medioevo: tant'è vero che gli invasori longobardi, per avere la meglio sulle popolazioni locali ed indurli a fuggire via mare, distrussero tutti i loro vigneti.
Qui, lungo i declivi di rocce dolomitico-calcaree (di origine Mesozoica) con forti contaminazioni vulcaniche, sono aggrappate, nel senso stretto del termine stesso, le storie di uomini e di viti che dimorano nei terrazzamenti strappati alla roccia, sospesi tra cielo e mare: storie di viticoltori che hanno saputo tirar fuori elementi di forza dai punti deboli di un territorio!
Qui, in un contesto privo di influenze o contaminazioni internazionaliste, in cui si è scampati all'attacco della fillossera, vengono allevate in maniera eroica varietà rigorosamente autoctone.
Sono queste le circostanze in cui le Cantine Marisa Cuomo sono state fondate nel 1980 e dedicate da Andrea Ferraioli alla moglie Marisa Cuomo come regalo di nozze.
Sono sì imprenditori, ma al contempo motori della loro azienda, di cui curano e seguono nei minimi dettagli tutte le singole fasi della lavorazione, cercando di unire innovazione e tradizione.
In realtà la famiglia di Andrea, i Ferraioli, sono stati da sempre produttori di vino. Lo testimoniano un torchio risalente al XVI secolo ritrovato in un casolare di loro proprietà, ed il marchio Gran Furor Divina Costiera ideato nel 1942 da un suo zio al fine di favorire la vendita dei vini della Costa di Furore.
Tale marchio è stato rilevato successivamente da Andrea con l'intento di dar vita ad una produzione di vini di qualità indiscussa e, lo si ritrova tutt'oggi sulle etichette dei vini Marisa Cuomo.
Insieme alla moglie Marisa, alla collaborazione dell’enologo Luigi Moio, dell'agronomo Antonio Gaetano Carrano ed al supporto negli ultimi anni dei figli Raffaele e Dorotea, Andrea è riuscito a creare un brand simbolo dell’enologia italiana molto conosciuto anche a livello internazionale: un brand associato a vini appassionati che sanno di roccia e di mare, un capolavoro di equilibri (cit. Luigi Veronelli).
Non'è stato semplice, in quanto oggi fare impresa è difficile, e farlo al Sud lo è ancora di più. 
Attualmente l'Azienda vinifica le uve di circa 30ha di vigne (in parte di proprietà, in parte in affitto) dislocate nei comuni di Cetara, Conca dei Marini, Furore, Praiano, Ravello, Scala e Vietri sul Mare, per una produzione che si attesta intorno alle 115.000 bottiglie.
 
Quest'oggi ho avuta la fortuna di degustare il bianco più pretenzioso dell'azienda, un vino simbolo dell'enologia campana nonchè nazionale, visto che in più occasioni è stato premiato come miglior bianco italiano.
Si tratta del Furore Bianco Fiorduva, ed in particolar modo dell'annata 2013. L'unicità di questo vino sta nelle varietà rigorosamente autoctone della Costa d'Amalfi e nella loro sapiente interpretazione.
È ottenuto dalla vinificazione di uve Fenile, Ginestra e Ripoli (nelle rispettive percentuali del 30, 30 e 40%) allevate a pergola sui terrazzamenti dolomitici-calcarei di Furore e dei comuni limitrofi, con bassissime rese intorno ai 60 q/ha. Vecchie viti pre-fillossera dell'età media di 80 anni che crescono a piede franco su pendenze minine del 50%, allevate in maniera eroica e, con grande fatica, in piccoli terrazzamenti strappati alla montagna ed al mare.
Le uve vengono raccolte in leggera surmaturazione, solitmente nella terza decade di ottobre, e vinificate (previo illimpidimento statico ed inoculo di lieviti selezionati in vigna) in acciaio ed elevate in barriques di rovere per circa 6 mesi. Successivamente il vino affina per un periodo minimo di 10 mesi in bottiglia prima della commercializzazione.

Nel calice si presenta con una luminosa e vivace veste paglierina carica, dai riflessi dorati.
Al naso affascina per i profumi di nespola ed ananas carnose, fiori di ginestra e richiami di macchia mediterranea, note iodate e salmastre, il tutto accompagnato da una leggerissima nota che ricorda la mandorla appena tostata.
Al palato il vino denota tutta la sua opulenza in un sorso comunque ricco di freschezza e sapidità, con una lunga chiusura di bocca che richiama ed indugia soprattutto sulle note vegetali e salmastre.

Ho avuto modo di degustare il Furore Bianco Fiorduva in un calice abbastanza voluminoso e di media apertura, ad una temperatura di circa 12°C.
Personalmente ne consiglierei l'abbinamento ad un piatto di Fresine dei Campi ai Crostacei e Lime, magari durante una cena romantica, su una terrazza in riva al mare, la sera di ferragosto.


Prezzo in enoteca: 40-50€
Contatti: www.marisacuomo.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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giovedì 11 agosto 2016

Clos de la Coulée de Serrant, Nicolas Joly, 2000

Di Antonio Indovino

Savenniéres-Coulée de Serrant AOC, Clos de la Coulée de Serrat, Nicolas Joly, 2000

Il Clos de la Coulée de Serrant, nella Valle della Loira, è una AOC  di soli 7 ettari e di proprietà di un solo viticoltore: Nicolas Joly (vi invito a leggere un sunto del suo percorso di vita redatto dal vignaioloignorante Luca Empireo al seguente link).
La Coulèe de Serrant è il vino ottenuto dalla vinificazione in purezza di uve Chenin Blanc coltivate in questa minuscola AOC. Le vigne (che hanno un'età media tra i 35 e i 40 anni, con picchi anche di 80) sono state piantate nel 1130 dai monaci cistercensi e, da allora, sono state vendemmiate senza interruzioni.

Notevole è la densità di impianto, che va dai 4800 ai 6700 ceppi per ettaro, e, bassissima è la resa media che si aggira sui 25 ettolitri per ettaro (contro i 40 autorizzati nel disciplinare).
Il suolo è sottile, di natura vulcanica, con fondo scistoso e ricco di quarzo, molto drenante e dalle incredibili pendenze. La conduzione della vigna segue i dettami della biodinamica (di cui Joly è padre) a partire dal 1981. Gli additivi chimici ed ogni altro prodotto di sintesi sono completamente soppiantati da tisane a base di erbe. L'unica forma di concimazione concessa è quella organica (non sempre e non da tutti). Si assiste a una riduzione al minimo degli interventi da parte dell'uomo lasciando alla natura, con tutti i rischi che questo comporta, la totale libertà di svolgere il proprio corso. La vendemmia si prolunga per 3 e 4 settimane, dalla fine di settembre ai primi di ottobre, periodo durante il quale si passa anche più di 5 volte, raccogliendo soltanto i grappoli perfettamente maturi e possibilmente attaccati dalla botrytis.
Ogni successivo passaggio in cantina, una volta raccolte le uve, prevede unicamente l'uso di solforosa. Anche se non tutti i produttori biodinamici la usano (l'utilizzo può infatti essere evitato se in fase di vinificazione si ricorre a frequenti rimontaggi sulle fecce), Joly dice che serve a proteggere il vino durante i trasporti, e comunque, l'impiego è ridotto al minimo necessario: in 3 volte per 2 grammi l'una, l'ultima delle quali al momento dell'imbottigliamento.
La vinificazione avviene in botti da 500 litri, di cui solo il 5% nuove. L'uso del legno è inteso come impiego di un elemento naturale e vivo, una sorta di placenta nella quale prende vita un nuova creatura! Joly, infatti, ricorda che l'uva nasce in vigna ma, tutti, sanno che il vino non è il prodotto naturale dell'uva, piuttosto l'aceto. Dunque il vino è da considerarsi come prodotto di una trasformazione-creazione. In ogni caso, quasi mai si tratta di barrique nuove e per quanto riguarda la Coulèe de Serrant si tratta, comunque, di legni non tostati, impiegati per la fase di fermentazione e di affinamento.
La macerazione sulle bucce è brevissima, dura solo due ore: non c'è bisogno di tempo ulteriore perché, il lavoro in vigna, ha dato uve tali da ottenere uno scambio di sostanze tra buccia e polpa veloce ed immediato. La fermentazione avviene per 3 giorni in barrique. Nel vino non vengono mai lasciati zuccheri residui, almeno non volontariamente: gli zuccheri ammaliano il degustatore e questo non è lo scopo di Joly! Nessuna chaptalisation, nessun intervento in cantina, nessuna decantazione delle fecce, niente chiarifiche, niente lieviti selezionati, niente controlli di temperature, affinamento per 6/8 mesi in legno e poi bottiglia: Joly durante la fermentazione si limita a lasciare le porte della sua cantina aperte!
La produzione media si attesta intorno alle 20-25.000 bottiglie, un quantitativo irrisorio se si pensa ai tantissimi estimatori nel mondo di questo vino icona della sua tipologia.

Quest'oggi ho avuto la fortuna di degustare la Coulèe de Serrant targata 2000!

Nel calice si presenta con una vivace e luminosa veste dorata, molto composta nelle roteazioni del calice.
Al naso è un tripudio. Su una nota affumicata di fondo si colgono note di muschio ed erbe balsamiche in primis, poi via via di tabacco, zenzero, zafferano, miele, agrumi canditi e tè verde.
Il sorso è di grande impatto, opulento, grasso ed avvolgente, sostenuto da una buona freschezza ed una stimolante salinità, con una lunga chiusura di bocca che ricorda soprattutto il miele, le note erbacee e balsamiche.

Ho avuto modo di apprezzare la Coulèe de Serrant in un ampio calice intorno ai 14°C dopo averla stappata la mattina, ed averne apprezzato una maggiore espressività ed armonia addirittura il giorno successivo.
Personalmente è un vino su cui ho preferito meditare anzichè pensare ad un eventuale abbinamento: il protagonista assoluto è stato lui!!!

Prezzo in enoteca: 80-90€ (per le ultime annate in commercio)
Contatti: coulee-de-serrant.com

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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