lunedì 26 settembre 2016

Rossese di Dolceacqua, Terre Bianche, 2015

Di Antonio Indovino 
 
Rossese di Dolceacqua DOC, Terre Bianche, 2015
 
Ci troviamo nella Vallata del Nervia, nell'estremo Ponente Ligure, in località Arcagna, nel comune di Dolceacqua.
Qui, alle pendici delle Alpi, lungo i declivi collinari che affacciano sul Mar Ligure, ha trovato le condizioni pedoclimatiche a lui favorevoli il Rossese: un'uva che probabilmente ha origini francesi (il nome deriva dal termine roché, ad indicare il terreno roccioso su cui viene coltivato), difficile da lavorare, ma al contempo capace di regalare grandi soddisfazioni.
Nei terrazzamenti sorretti da muretti a secco, con pendenze che raggiungono e talvolta superano il 30%, i grandi sforzi profusi per l'allevamento di questa singolare varietà vengono ripagati dalla qualità dei vini che ne provengono: tant'è vero che è stata la prima DOC riconosciuta in Liguria nel 1972.
Si tratta, indiscutibilmente. di uno dei luoghi coltivati più antichi della Liguria. Ritrovamenti archeologici nel versante nord di Arcagna testimoniano infatti che i Liguri vi coltivavano già nel VII sec. a.C. Successivamente, nei primi secoli del d.C., fu la volta dei romani e poi dei monaci Benedettini dell’Abbazia di Novalesa a partire dal XII secolo, ed infine, dagli abitanti stessi di Dolceacqua ed in particolare dalla famiglia Orrigo, che vi costruì il casolare ora simbolo dell'Azienda Agricola Terre Bianche.
L’Azienda Terre Bianche nacque qui nel 1870, quando Tommaso Rondelli decise di impiantare i primi vigneti di Rossese in queste zone dalla terra biancastra, ricca di argilla, marne, flysch e conglomerati con cementi calcarei: da qui la scelta del nome dell'azienda.
L'avvento della fillossera, nel 1885, distrusse tutte le vigne di Rondelli e per il loro reimpianto si dovette attendere i primi del '900.
La rinascita della viticoltura ligure è stata opera dell'agronomo Mario Calvino, papà del celebre Italo (intellettuale, scrittore e partigiano Italiano), che recuperò le varietà locali introducendo i portainnesti americani.
Successivamente fu la volta delle guerre mondiali che portarono all'abbandono dei vigneti, ma, negli anni '80, i discendenti di Tommaso, I fratelli Claudio e Paolo Rondelli, danno una svolta decisiva all'azienda con un consistente ampliamento dei vigneti che si estendono su una superficie di circa 8,5 ha.
Di riflesso vi è stato un aumento di produzione, sia quantitativo che qualitativo, grazie anche, e soprattutto, al grande impegno profuso da Filippo (figlio di Claudio e suo successore in azienda).
Le attuali vigne sono il patrimonio più grande, e si dividono in varie aree, ciascuna con il suo terreno ed il suo microclima. I vigneti si dividono sui terreni di Terre Bianche (argille azzurre e marne blu, 360-380m, esposizione sud-est, pendenza 30%), Vigna Arcagna (Flysch di Ventimiglia, 380-450m, esposizione ad est, pendenza 30%), Scartozzoni (siltoso-sabbioso con lenti argilloso-marnose e conglomerati spesso affioranti, 360-450m, esposizione est, nord-est, pendenza 50%) ed infine la vigna Monte Curto (Flysch di Ventimiglia, 380-430m, esposizione sud, pendenza 60%).
La conduzione dei vigneti (in regime biologico) e la vinificzione delle uve aziendali (Pigato, Rossese e Vermentino) vengono svolte nel rispetto della pianta e del vino, senza alterazioni artificiose, ma al contrario trasformando le uve per esaltarne le qualità naturali con pochi ma precisi interventi, per ottenere vini che siano di volta in volta espressione del terroir e dell'annata.
Tutte le fasi vengono scrupolosamente controllate dai proprietari stessi, Filippo Rondelli e Franco Laconi, che al contempo si occupano della conduzione agronomica ed enologica dell'azienda.

Quest'oggi ho avuto la fortuna di degustare il Rossese di Dolceacqua 2015.
Un vino ottenuto da Rossese in purezza allevato ad alberello e cordone speronato nei vigneti di Terre Bianche ed Arcagna, dove le piante hanno un'età media compresa tra i 30 ed i 100anni.
La vinificazione avviene in acciaio per opera dei lieviti indigeni, con una breve macerazione pellicolare a temperatura controllata ed una sosta sulle fecce fini di 4 mesi che ne precedono l'imbottigliamento e la commercializzazione.
Nel calice il vino si presenta con un'affascinante, vivida e trasparente veste dalla tonalità rubina.
Al naso spiccano netti sentori di amarene e lamponi, seguiti da richiami floreali di violette di campo, di bacche di ginepro e accenni di sottobosco.
Il sorso è teso, con una piacevole percezione pseudocalorica che avvolge il palato cui fa da contraltare una buona acidità, una sottile e fine trama tannica ed una lieve chiusura salina ed ammandorlata che richiama coerentemente le note fruttate, floreali e di sottobosco.
Ho avuto modo di apprezzare il Rossese di Dolceacqua di Terre Bianche in un calice abbastanza voluminoso e di media apertura ad una temperatura che idealmente dovrebbe aggirarsi intorno ai 14/15°C .
Personalmente lo abbinerei a del Coniglio alla Cacciatora


Prezzo in enoteca: 10-15€
Contatti: terrebianche.com/it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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martedì 6 settembre 2016

Monte di Grazia Rosato, 2012

Di Antonio Indovino 
 
Campania Rosato IGT, Monte di Grazia, 2012
 
Ancora una volta sono qui a parlare di un vino nato in una zona unica dal punto di vista geografico, per morfologia del suolo, per il microclima e per il fascino che suscita negli abitanti stessi ed in milioni di turisti che la visitano ogni anno.
Ci troviamo nella splendida cornice della Costiera Amalfitana, esattamente a Tramonti, un'enclave racchiusa nei Monti Lattari, una vera e propria gola che scende dai 700m di altitutine fin sulla costa, a Maiori, a 270m s.l.m.
Il singolare contesto pedo-climatico trae beneficio dalle brezze marine mitigatrici e dal mix di argilla e prodotti piroclastici effusivi che vanno a comporre la matrice del sottosuolo.
È qui che il Dott. Alfonso Arpino, nel 1993, si ritrova in eredità 3 piccole vigne sparse nelle frazioni di Tramoniti: Monte di Grazia, Madonna del Carmine e Casa di Mario.
Da sempre la famiglia Arpino ha prodotto vini per consumo proprio e venduto le uve nel vicino agro nocerino-sarnese, ma con gli anni è venuto meno il cambio generazionale nelle vigne, con l'abbandono delle stesse da parte dei vecchi coloni.
Il Dott. Arpino si è ritrovato così a gestire in prima persona quei vigneti a pergola unici e ricchi di storia, quelle viti centenarie a piede franco che solo lì trovano dimora, con la volontà di portare avanti innanzitutto la tradizione vitivinicola, nonchè di valorizzarne l'unicità adesso ben nota a tutti. 
È così che è nata l'idea di dar vita ad un'Azienda Agricola. Il primo passo è stato l'acquisto del vigneto Casina nel 1996 (dove attualmente risiede la cantina, un tempo un vecchio rudere), il successivo è stato la conversione al regime biologico nel 1997, cui sono seguiti l'acquisto dell'appezzamento a Vignarella nel 2003 e l'incontro chiave con Gerardo Vernazzaro nello stesso anno.
L'enologo partenopeo da subito è rimasto affascinato dall'unicità di quelle vigne su cui mai aveva messo mano prima di allora, decidendo di collaborare ad un progetto di vini altrettanto unici nel loro genere: frutto del duro e rispettoso lavoro in vigna ed in cantina. 

Nel 2004 è così iniziata la vinificazione delle uve sotto il nome dell'Azienda Agricola Monte di Grazia, una produzione destinata ad un mercato di nicchia fatto di attenti appassionati e professionisti del settore in grado di apprezzare il frutto di quei 2,7ha di vigne: sole 9000 bt nelle migliori annate!
Quest'oggi sono qui a raccontare del Rosato 2012 di Monte di Grazia, una chicca di cui vengono prodotte solo 1000 bt circa, un vino sul quale mi son ricreduto ad assaggi successivi proprio della stessa annata.
 

Probabilmente ho peccato di presunzione un paio d'anni orsono o forse più, o semplicemente non ho saputo immediatamente cogliere nella rusticità di quel vino un grande potenziale evolutivo.
Fatto sta che a distanza di due anni pieni sono qui a ricredermene di fronte all'eleganza ed all'equilibrio che ha saputo regalargli la permanenza in bottiglia.
 

È un vino ottenuto da Tintore e Moscio (nelle rispettive percentuali dell'85 e 15%) vinificati in bianco in acciaio, con una sosta sulle fecce fini di circa un mese, periodo durante il quale viene svolta anche la fermentazione malolattica. Successivamente il vino viene filtrato ed imbottigliato, dove resta ad affinare per circa 6 mesi prima della commercializzazione.
Nonostante non ci sia macerazione pellicolare, il titntore alla sola pigiatura è in grado di trasmettere alle uve una parte della sua carica di antociani: questo va a spiegare la tonalità di colore seppure le uve siano state vinificate in bianco.
 

Nel calice il vino si presenta con una consistente e vivida veste cerasuola dai riflessi granati. 
Al naso sprigiona profumi di amarene sciroppate, di rose appassite, di macchia mediterranea, di note salmastre e marine, di macchia mediterranea ed erbe balsamiche.
Il sorso è secco, morbido ed avvolgente, sorretto da una buona dose di freschezza ed un'accennata sapidità.
Piacevole, discretamente lunga e coerente è la chiusura di bocca, che richiama perfettamente per via retronasale le sensazioni olfattive.
 

Ho avuto modo di apprezzare il Rosato di Monte di Grazia in un calice abbastanza voluminoso ad una temperatura compresa tra i 12 ed i 14°C, dopo averlo stappato almeno con una mezz'ora di anticipo per ovviare alla riduzione iniziale: per un servizio più rapido si potrebbe pensare di arieggiarlo in una caraffa stretta ed affusolata! 
Personalmente ne consiglierei l'abbinamento con un piatto di Linguine con Lupini, Pomodorini arrosto, Cacio e Pepe.    

Prezzo in enoteca: 10-15€
Contatti: http://montedigrazia.eu


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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