mercoledì 28 dicembre 2016

Riserva Coppo Brut 2005



Di Antonio Indovino

Vino Spumante di Qualità, Riserva Coppo, Coppo, 2005

Le origini dell’azienda Coppo risalgono al lontano 1892: più di 120 anni fa Piero Coppo, il fondatore e capostipite della famiglia, da il via ad una lunga storia fatta di tradizione, di sacrifici, di ricerca della perfezione, di innovazione e coraggiosa visione del futuro.
La cittadina di Canelli, all’epoca, era una piazza di fondamentale importanza per il mercato delle uve piemontesi, punto di incontro tra viticoltori e vinificatori. Fu qui che, nella seconda metà dell’800, nacque il primo spumante italiano “metodo classico” da uve Moscato (chiamato Moscato Champagne): un’intuizione destinata a cambiare la storia enologica italiana e a fare della città un centro di notevole importanza!
Piero Coppo ebbe quindi l’abilità di sfruttare il grande fermento per lanciare ed affermare la sua azienda e la sua rigorosa visione del vino piemontese: vini rossi tipici del Piemonte, Vermouth, ma soprattutto spumanti!

A testimonianza di ciò vi è il simbolo aziendale, un’opera commissionata da Piero (grande appassionato di arte) ad un’artista bergamasco di nome Giacomo Manzoni.
Si tratta di una scultura lignea che raffigura un un fanciullo alato e nudo, munito di faretra e frecce, colto nel tentativo di trattenere l’effervescenza sprigionata da una bottiglia di spumante, ai cui piedi è incisa la frase  “robur et salus”: forza e salute che, unite al significato artistico e mitologico dell’amorino infante (amore e passione), racchiudono in pieno la filosofia di Piero.
Il trascorso non’è stato, però, sempre roseo.
Nel 1948 Canelli fu travolta da ben due alluvioni che ne distrussero la parte bassa, quella edificata vicino al letto del fiume Belbo. Le Cantine Coppo non furono certo risparmiate, subendo una profonda devastazione.

La famiglia decise allora di spostare l’intera produzione nella cantine di via Alba, a ridosso della collina e delle cantine scavate nella roccia. In quegli anni, a Piero subentra il figlio Luigi, cui spetta il compito di fronteggiare momenti così duri e difficili.
Col passaggio al timone della terza generazione, tra gli anni ’70 e ’80, avviene una vera e propria svolta: ispirati dai grandi vini francesi i Coppo danno inizio alle prime sperimentazioni nell’uso delle barriques dove avevano luogo le fermentazioni alcoliche e l’affinamento sulle fecce nobili: Chardonnay e Pinot Nero furono le due varità cavia, dal cui assemblaggio e rifermentazione nacque nell’84 lo spumante più prestigioso dell’azienda: il Riserva Coppo.
La sperimentazione non fece passaree in secondo piano la vocazione dell’azienda per i vini rossi tradizionali, ed in particolare per la Barbera, la cui storia riconduce ad un’epoca dura, fatta di fatica e povertà.
L’ambizione di dimostrare in modo inequivocabile l’eleganza e la longevità dei vini da essa ottenuti, spinse i Coppo a stravolgerne la filosofia produttiva, fatta di un’ancor più attenta e rigorosa conduzione delle vigne e di rigore in tutte le fasi della produzione, per arrivare infine all’impiego della botte piccola: sono questi i fattori decisivi per la rinascita della Barbera e la nascita del Pomorosso (il vino simbolo).
Ai giorni d’oggi l’azienda Coppo si estende su circa 52 ettari di vigneto, suddivisi tra proprietà, affitto e conduzione, il cui nucleo principale è ubicato nel Monferrato.
Dal 2001 si segue un protocollo fatto di pratiche agronomiche a basso impatto ambientale, per cercare di salvaguardare l’integrità territoriale e la biodiversità deil vigneti in ogni loro aspetto.

I cugini Massimiliano e Luigi hanno raccolto il testimone e perpetuano la grande tradizione divulgandola ed arricchendola grazie ai nuovi mezzi di comunicazione.
Sono loro stessi i responsabili dell’accoglienza presso le Cantine Storiche, dichiarate dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità: edificate nell’ XVIII secolo come piccole cantine di conservazione ed ingrandite poi, nel corso del ‘900, fino ad un’estensione di oltre 5 mila metri quadrati.

Recentemente ribattezzate Cattedrali Sotterranee, per la loro spettacolare bellezza, sono composte da gallerie, cunicoli e lunghi corridoi, che si espandono sotto tutta la collina di Canelli.
Oltre alla bellezza dell’impianto, il tufo calcareo in cui sono state scavate rappresenta un prezioso alleato: incredibilmente stabile, funge da perfetto isolante termico, mantenendo un’umidità ed una temperatura costanti (condizioni ideale per l’affinamento dei grandi vini).

Quest’oggi sono qui a parlarvi del più importante tra gli spumanti prodotti nelle monumentali cantine: il Riserva Coppo.
Ho avuto la fortuna di degustare il millesimo 2005 che gelosamente conservavo in cantina.
Ottenuto da Pinot Nero e Chardonnay (nelle rispettive percentuali di 80 e 20%) allevati a guyot su caratteristico suolo di limo e marna argilloso-calcarea.
La vinificazione avviene in barriques di rovere francese, dove i vini base svolgono parzialmente la malolattica e vengono elevati per 9 mesi sulle fecce fini.
Successivamente all’assemblaggio degli stessi in acciaio, avviene la presa di spuma in bottiglia che si protrae per 60 mesi prima della sboccatura.

Nel calice affascina per la sua brillante veste dorata arricchita da un perlage di grande finezza e persistenza.
Di grande impatto anche sul piano olfattivo, ci regala profumi intensi dai toni balsamici di incenso, speziati di chiodi di garofano, poi gessosi, ed in seguito tostati che ricordano i prodotti da forno e la frutta secca a guscio, per poi aprirsi alla fine su note riconducibili ai pasticceria.
In bocca è cremoso, fresco e sapido, con una lunga chiusura sui toni fumè e balsamici.

Ho avuto modo di apprezzare il Riserva Coppo in un calice da vino bianco, affusolato e dall’apertura più stretta, ad una temperatura di 7/8 °C.
Potrebbe rappresentare al contempo la bollicina ideale per il gran brindisi e l’assaggio di un buon cotechino con le lenticchie, così come il compagno ideale in tavola con del salmone affumicato con salsa all’aneto. 

Prezzo in enoteca: 25-30
Contatti: www.coppo.it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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giovedì 22 dicembre 2016

Biancolella d'Ischia, Pietratorcia, 2015

Di Antonio Indovino

Ischia Biancolella DOC, Pietratorcia, 2015 

Ci troviamo nella zona sud-occidentale dell'isola d'Ischia, più precisamente tra Forio e Serrara Fontana: una zona particolarmente vocata alla viticoltura, qui introdotta dagli antichi Eubei e testimoniato dalle incisioni sulla coppa di Nestore (un manufatto risalente all'VIII secolo a.C.).
L'esplosione del turismo negli anni ’50 e, la cementificazione che ne è conseguita, ha causato una drastica riduzione della superficie vitata sull'isola: si è passati dai 3000 ha degli anni '40 ai 300 ha dei primi del 2000.
L'azienda Pietratorcia nasce nel 1994 dalla volontà di tre antiche famiglie contadine, Iacono, Regine e Verde, di tornare alla terra e alle tradizioni rurali e, di dar vita comunque ad un'impresa moderna ed incentrata su standard qualitativi molto elevati.
Per il nome si è tratto spunto dalla “pietra torcia”: un enorme e pesante masso tufaceo con tre fori (uno alla sommità e due ai lati) utilizzato, secoli addietro, per spremere le uve con un complesso sistema di funi e di leve, prima che il torchio entrasse nell’uso comune dei vignaioli isolani.
Ne è presente proprio una nelle storiche cantine dell'azienda scavate nel tufo e risalenti al 1700: un posto unico e suggestivo, dove vengono elevati i vini prima della commercializzazione.
Otto sono gli ettari di terreno reimpiantati con vitigni selezionati e, seguendo un concetto di microzonazione molto spinto: piccole vigne incorniciate tra cielo e mare e con un'esposizione quanto più favorevole posssibile.
Ambrogio Iacono (Gino per tutti), uno dei titolari, nonchè enologo ed agronomo, ha intrapreso un lungo itinerario di formazione tecnica in collaborazione con l'Istituto di San Michele all’Adige e supportato da un’equipe di primissimo ordine, con l'intento di dar vita a piccole produzioni di pregio e rafforzare l'dentità Ischitana di eccellenza nel panorama vitivinicolo nazionale ed internazionale.
Non solo vini di qualità, ma promulgare l'abbinamento tra vino e cultura in genere: un'altra scommessa vinta dalla famiglia Iacono!
Difatti la libreria Mattera (nata negli anni '50), a pochi passi da piazza S. Gaetano a Forio, era da sempre stata un punto di aggregazione, di confronto e di dibattiti: un vero salotto culturale che qualche anno fa purtroppo aveva cessato la sua attività ma, fortunatamente, è stata riportata in auge da Franco Iacono.

Quest'oggi sono qui a parlarvi della Biancolella di Pietratorcia.

Ottenuta dalle omonime uve di Biancolella in purezza, allevate a spalliera, con potatura a guyot e basse rese (80 q/ha), su di un suolo tendenzialmente sabbioso, formato da materiali detritici e tufacei derivanti dall'erosione e distaccamento di frammenti dal monte Epomeo.
La raccolta generalmente avviene tra fine settembre ed inizio ottobre, rigorosamente in piccole cassette.
Le uve vengono diraspate e poste a macerare in serbatoi di acciaio per 24 ore a 10°C.
Successivamente la massa viene pressata ed il mosto fermenta in silos d'acciaio alla temperatura controllata di 18°C.
Ultimata la fermentazione, il vino viene elevato sulle fecce fini per un periodo ulteriore di 3 mesi, e, dopodichè, filtrato ed imbottigliato in primavera.

Nel calice si presenta con una luminosa tonalità paglia dai riflessi oro.
Intenso ed appagante al naso, ci regala profumi di albicocche e di fiori di ginestra, di anice stellato e di macchia mediterranea: il tutto su di una nota di fondo iodata e tufacea.
In bocca è morbido ed avvolgente in primis, rinfresca poi il palato chiudendo su una lieve scia sapida dai rimandi fruttati.

Ho avuto modo di apprezzare questa biancolella in un calice non molto ampio e dall'apertura leggermente più stretta, ad una temperatura che idealmente si aggira tra i 10 ed i 12°C.
Personalmente lo abbinerei nella notte di Natale ad un buon piatto di apertura, come potrebbe esserlo del "Nasello leggermente affumicato, servito sull'insalatina di rinforzo della tradizione napoletana", a patto che non si esageri col rinforzo!


Prezzo in enoteca: 5-10
Contatti: www.pietratorcia.it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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lunedì 12 dicembre 2016

Noir, Abbazia di Crapolla, 2014

Di Antonio Indovino

Vino Rosso, Noir, Abbazia di Crapolla, 2014

Avendo già parlato precedentemente dell'Azienda, ed in particolare del "Sireo Bianco" (link), riporto dalla scheda precedente le informazioni di natura storica ed il contesto orografico.

La Società Agricola Crapolla nasce nel 2007 rilevando il fondo nel territorio dell'antico casale di Avigliano (ai giorni d'oggi è la frazione di San Salvatore) in Vico Equense e propriamente sul culmine della collina che sovrasta il Vallone di Satrulo e il convento di San Francesco. Qui si trova una piccola Abbazia Benedettina, un tempo divisione di quella situata nel Fiordo di Crapolla a Massa Lubrense, ed oggi sede della cantina e pronta ad accogliere gli aspiti in visita all'azienda. Antichi manoscritti testimoniano la produzione di grandi vini proprio qui in Penisola: il "Vinum Sorrentinum" oltre ad essere paragonato al "Vinum Falernum" era il vino bevuto dall'Imperatore Tiberio nella Villa Jovis a Capri. Vicissitudini risalenti al 1526 ci portano a conoscenza di litigi tra la nobile famiglia Carafa di Napoli e l'università di Vico Equense riguardo al prezzo di vendita dei vini di Crapolla, a testimoniare ulteriormente la qualità dei vini prodotti qui in zona. Nel 2008 i proprietari mossi in primis da una grande passione e dalla voglia di valorizzare un territorio ahimè bistrattato, nonchè affrancati dalle testimonianze storico-culturali, decidono di dar vita ad un nuovo vigneto di Falanghina e Fiano, conservano in parte le vecchie viti di Sabato e Merlot, ed impiantano Pinot Nero per vezzo personale.
Segue i lavori in vigna ed in cantina l'enologo ed agronomo
Arturo Erbaggio che, con competenza e caparbietà, sta conducendo e portando avanti una sfida colma di difficoltà: ogni vendemmia a Crapolla è sì la sintesi di un anno di duro lavoro in vigna, ma soprattutto una nuova lezione da cui imparare soprattutto dai capricci della varietà transalpina. 


Quest'oggi sono qui a parlarvi prorpio del vino ottenuto da Pinot Nero, il Noir, croce e delizia al tempo stesso.

Le viti sono allevate a guyot su suolo franco sabbioso, ricco di pomici e lapilli, con rese bassissime di circa 0,7-0,8 kg/ceppo.
La vinificazione avviene in acciaio, con una breve macerazione pellicolare, ed è seguita da unlevage in barrique di 8/9 mesi prima dell'imbottigliamento.

Nel calice il vino si presenta con una vivida e trasparente veste rubina tendente al granato. Al naso denota in prima battuta profumi legno di sandalo e pepe, successivamente si apre su note di amarene mature e petali di rosa appassiti, poi cioccolato al latte e cipria: il tutto su una nota di fondo vegetale e balsamica.
Il sorso è carezzevole al palato, sorretto da una piacevole freschezza, una discreta sapidità ed una sottilissima trama tannica.
Eleganza, un corpo di media struttura ed intensità ed una chiusura appagante e sufficientemente lunga (su note fruttate e legnose) completano il quadro di questo rosso inusuale
qui in costiera.


Ho avuto modo di apprezzare il Noir in un calice voluminoso e di media apertura, ad una temperatura di 13/14°C, dopo averlo stappato con una mezz'oretta di anticipo.

Potrebbe essere il compagno ideale di un piatto di "Linguine con Lupini, Broccoli e Peperone Crusco".

Prezzo in enoteca: 20-25
Contatti: www.abbaziadicrapolla.it


Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina


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